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Totó a Teatro: storia di amori, dissapori, di satira e di bombe; Parte II

Totò decide, nonostante l’opposizione della famiglia, di entrare a far parte di una squallida compagnia teatrale retta dall’impresario Capece. Il ragazzo, giovane e pieno di speranze, venne preso come “straordinario”, un ruolo di infima importanza e malpagato. 

Su quei tempi duri, sulla miseria patita in gioventù, dirà poi che erano stati proprio loro i veri ingredienti della sua comicità:

“Io so a memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera comicità. Non si può far ridere se non si conoscono bene il dolore e la fame, il freddo, l’amore senza speranza, la disperazione della solitudine di certe squallide camerette ammobiliate alla fine di una recita in un teatrucolo di provincia; e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffellatte, la prepotenza esosa degli impresari, la cattiveria del pubblico senza educazione”.

L’avventura, nonostante il discreto successo riscosso nel ruolo di Pulcinella, finisce male per Totò. Un giorno, ritrovatosi senza soldi, osa chiedere all’impresario il denaro per il bus e per questo viene licenziato.

 Questa vicenda lascia attonito il povero attore e lo trascina in un periodo di depressione acuta, attenuata soltanto dalle mance guadagnate in qualche occasionale serata nei locali della Capitale.

La svolta arriva quando Antonio decide di tentare la sorte e si presenta all’impresario Jovinelli, un uomo molto rude e rispettato per gli scontri avuti con un boss del napoletano. Con suo grande stupore viene ingaggiato per recitare nel suo teatro. Totò riesce rapidamente a conquistare il pubblico, riproponendo delle macchiette di De Marco come “il Bel Cicillo” e “l’uomo marionetta”, che renderà immortali con le sue interpretazioni.

Il compenso però non basta per soddisfare lo stile di vita di Totò, che deve anche rinnovare il suo corredo teatrale. Anche in questo caso la sorte gira dalla sua parte: il suo barbiere di fiducia Pasqualino ha molte conoscenze in ambito teatrale e lo introduce al Sala Umberto I, il più importante teatro romano dell’epoca.

In poco tempo Totò accresce a dismisura la propria popolarità: si esibisce con le solite macchiette, i suoi cavalli di battaglia, ma con una mimica facciale sempre migliore, piroette, doppi sensi e battute salaci.

Viene così ingaggiato da un noto impresario, Achille Maresca, che gli propone di girare l’Italia con la sua compagnia: Totò accetta senza pensarci un momento. Comincia così un periodo d’oro dal punto di vista della popolarità e della soddisfazione personale e professionale. È giovane, ha successo e ha la possibilità di frequentare da protagonista gli ambienti più effervescenti dell’epoca: i café-chantant e i teatri.

Anche con le donne inizia un ottimo periodo: ha relazioni con diverse “sciantose” e con le ragazze più belle del pubblico, cui dedica le sue esibizioni e che spesso lo seguono in camerino. Si fa il nome di donnaiolo impenitente e insaziabile, ma allo stesso tempo avverte la necessità di una relazione più stabile, di vero amore.

Sulla sua passione vorace per il sesso dice alcune cose interessanti la nipote Diana:

“Misurava l’età non secondo gli anni che aveva ma secondo la potenza sessuale. Il collaudo continuo della sua virilità gli ha rovinato la vita e lo ha ucciso una quindicina di anni prima. Nonno Totò era ossessionato dal sesso: doveva fare l’amore tutti i giorni, come una prescrizione medica, con la moglie o con qualsiasi altra donna, anche negli ultimi tempi, quando aveva già 69 anni.”

Tornato a Napoli per recitare in alcune commedie di Eduardo Scarpetta, nota una giovane, Liliana Castagnola, e ne rimane subito colpito. La donna è una attrice, giunta a Napoli nel dicembre 1929 e scritturata dal Teatro Nuovo: incuriosita dal vedere uno spettacolo dell’attore napoletano, si presenta una sera ad un suo spettacolo. Totò non si lascia sfuggire l’occasione e inizia a corteggiarla facendole recapitare, alla pensione degli artisti dove lei abitava, mazzi di rose e biglietti d’ammirazione. Lei risponde con una lettera d’invito. Sono questi gli inizi di un’intensa, breve e tormentata storia d’amore.

Dopo il primo periodo di fuoco, infatti, iniziano i problemi legati alla gelosia: dapprima è Totò che, infastidito dal continuo viavai di ammiratori attorno a Liliana, teme eventuali tradimenti. A queste liti segue poi un periodo esacerbato dalle continue maldicenze delle malelingue, alimentate dall’invidia nei loro confronti.

È così che Liliana entra in depressione e, pur di restare accanto all’amato, propone di farsi scritturare nella sua stessa compagnia. Tuttavia Totò, sentendosi oppresso dal comportamento della donna, è più volte sul punto di lasciarla fino a quando come per disintossicarsi da una relazione ormai soffocante, decide di partire per Padova  con la compagnia della soubrette Cabiria.

Liliana, sentitasi abbandonata dall’amato, si suicida ingerendo un intero tubetto di sonniferi. Queste le sue ultime parole, in una lettera che rivela una donna di grande dignità:

 “Antonio, potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano… Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l’ho giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E, ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù per la strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero?… Addio. Lilia tua”.

“Sé n’è andata come una vera regina” dirà poi Totò, che il giorno dopo troverà il corpo senza vita della sua amata. I rimorsi e i sensi di colpa per aver pensato “ha avuto molti uomini, posso averla senza assumermi alcuna responsabilità” lo accompagneranno per tutta la vita, tanto che deciderà di seppellirla nella cappella di famiglia dei De Curtis a Napoli.

È talmente stravolto che pensa di abbandonare tutto e si ritira per qualche tempo in un monastero, con l’intenzione di farsi frate. Sente il bisogno di staccarsi dalla vanità del mondo e soprattutto di espiare gli errori di cui si sentiva responsabile. Quando però chiede al priore se gli sarebbe stato possibile incontrare qualche donna ogni tanto, il monaco lo caccerà via furibondo. In conseguenza di ciò, Totò realizzerà che sarebbe stato pazzo a rinunciare alle donne e si convincerà che solo quello di artista sarebbe potuto essere il suo mestiere.

Ritorna quindi a lavorare con ancora più grinta di prima: riprende la collaborazione con Achille Maresca e fonda anche una compagnia di avanspettacolo.

In uno dei viaggi della tournée fa tappa a Firenze e lì succederà qualcosa che gli cambierà per sempre la vita. L’amico e collega Raniero Di Censo, napoletano, lo aveva pregato di riservargli un palco per sé, per la moglie Elena e per la cognata Diana appena quindicenne, per assistere allo spettacolo “Follie d’estate”.

Arrivati al teatro Totò, che li aspettava davanti al botteghino, rimane folgorato dalla bellezza di Diana al punto da confidare all’amico che avrebbe voluto sposarla subito. Raniero, seppur molto perplesso per via della giovane età della ragazza, acconsente alla proposta di rimanere alcuni giorni a Firenze.

Agli incontri con Diana, Totò si presenta elegantissimo; quando dismette i panni e la sguaiatezza di Totò, il signor de Curtis si comporta da vero principe, elegante nel vestire e raffinato nei modi. Quando viene avvertita dalla sorella della proposta di matrimonio dell’attore Diana è incredula, ma di lì a poco il sogno di entrambi sarà realtà.

Dopo aver chiesto senza successo la mano della ragazza alla madre, Totò rimane in contatto epistolare con lei ed un giorno le propone di scappare dal collegio e di fuggire con lui. La ragazza accetta fa e la valigia per Roma, cominciando così la sua convivenza con Totò.

Dalla loro unione nel ‘33 nasce Liliana, così chiamata in onore del primo, tragico amore di Totò. Due anni dopo convolano a nozze, in una cerimonia per pochi intimi.

Il lavoro da girovago di Totò, unita alla sua gelosia cominciano ben presto ad incrinare il rapporto tra i due.

Tanta era la paura di perderla che, quando la sapeva da sola, che si trovasse con lui in tournée o a casa sua, la chiudeva in camera o in camerino con il chiavistello per evitare che potesse incontrare altri uomini.

Ad aggravare la situazione tra i due sono anche le insistenti attenzioni dell’attore verso attrici o ballerine, che portano a continui litigi, fino alla rottura del rapporto.

Dopo aver ottenuto l’annullamento del matrimonio nel ’40, i due rimangono insieme per il bene della piccola Liliana, sancendo un patto formale che avrebbe garantito l’unità della famiglia fino al diciottesimo anno di età della figlia, per farla crescere in un ambiente almeno apparentemente armonioso.

Nonostante la separazione di fatto, Diana gli rimane a lungo molto vicina come la migliore delle mogli. Come riporta la biografia dell’associazione “Totò de Curtis”:

“Nel 1940 al rientro da Massaua appena prima dell’ingresso in guerra dell’Italia (Totò) aveva accusato un forte disturbo all’occhio sinistro con successivo distacco della retina. Operato d’urgenza e bendato tutto il periodo della convalescenza Diana gli tenne la mano e gli fu vicino giorno e notte accudendolo con amore e dedizione”.

L’accordo tra i due, tuttavia, si romperà nel ’50:  Diana, indispettita dalle continue relazioni del marito, gli volta le spalle preferendo sposarsi con il conte Tufolo, piuttosto che rimanere con l’ormai ex consorte ancora geloso di lei, ma allo stesso tempo protagonista di continui tradimenti.

 A lei il Principe, dilaniato dal dolore, dedicherà la canzone “Malafemmena”, in cui sottolinea i sentimenti contrastanti che prova per la sua Diana: “te voglio bene e t’odie non te pozz scurdà”. Difatti non la dimenticherà mai e, nonostante alcuni dissapori, rimarrà in buoni rapporti con lei fino alla fine della sua vita.

La carriera di Totò continua, portandolo al debutto sul grande schermo col film “Fermo con le Mani”, del 1938, senza registrare tuttavia particolare successo né di critica né di botteghino.

Due anni dopo, al secondo tentativo, riuscirà ad ottenere buoni risultati con “San Giovanni Decollato”.

 Con il ruolo da protagonista riesce a non sfigurare, pur offrendo una versione ancora poco “umana” nel modo di atteggiarsi, ancora troppo simile a quello di un burattino, di una di quelle maschere che era solito portare in teatro per il divertimento del pubblico.

Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, Totò non ferma l’attività comica. Dopo l’armistizio, si butterà sempre di più sulla satira politica, con caricature sempre più accentuate dei protagonisti dell’epoca. Al suo fianco ci sono attori come Anna Magnani e Mario Castellani, l’una come co-protagonista, l’altro come spalla, e Gianni Agus.

Il quattro febbraio del ’44 ha luogo la prima della rivista diretta da Michele Galdieri “Che ti sei messo in testa?”, in cui Totò presenta una pesante caricatura di Hitler. I testi, essendo ormai incombente l’arrivo dei tedeschi in città, vengono pesantemente rimaneggiati dalla censura.

La tensione è alta e pochi giorni dopo, come racconterà poi Totò, durante uno spettacolo un tale esclama diretto all’attore “Vada al fronte”, ed un altro della fazione opposta risponde “Ci vada lei”, accendendo uno scontro che continua anche fuori dal teatro, dove viene fatta scoppiare una bomba. Poco dopo Totò sarà persino costretto a nascondersi per sfuggire alla cattura dei nazisti: girava voce infatti che volessero rapire gli attori per portarli in alta Italia. Dirà poi su quel periodo:

“Non me ne sono mai pentito perché il ridicolo era l’unico mezzo a mia disposizione per contestare quel mostro. Grazie a me, per una sera almeno, la gente rise di lui. Gli feci un gran dispetto, perché il potere odia le risate, se ne sente sminuito.”

Nonostante i rischi, il successo di pubblico è tale che Anna e il principe Antonio De Curtis ripropongono una rivista simile, in cui vestiranno i panni rispettivamente di Mussolini e di una Salomè.

“Se mi volevi bene veramente / dovevi agire un po’ più seriamente / dovevi fare meno profezie / dovevi dire meno fesserie / dovevi smascherare quei pagliacci / pensare più ai fagiuoli che ai Petacci

L’ironia di Totò non risparmiava nessuno: nel 1945, durante la tournée della rivista “Imputati, alziamoci!”  Totò fu avvicinato da un partigiano che, indispettito da una sua battuta, nella quale equiparava con ironia fascisti e partigiani, lo colpì al viso con un pugno.

Continua…

di Giacomo Bonetti

Giacomo Bonetti

Sono Giacomo Bonetti classe 2000 vengo da Fermo, splendida cittadina immersa tra le colline marchigiane. Studio Filosofia all'Università Cattolica di Milano.
Mi interesso di filosofia politica, morale, metafisica, letteratura e cinema. Tutto ciò che é umano mi appassiona.

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