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Tra navi, cibo e affari la Cina coltiva in Africa un nuovo ordine internazionale

Tra navi, cibo e affari la Cina coltiva in Africa un nuovo ordine internazionale

L'Occidente in ritirata. Pechino sfrutta la crisi ucraina per giocare alla potenza benevola mentre promette all'Africa il suo "Sogno cinese"

Tra il 2 e il 6 luglio scorso la cittร  di Lagos, la metropoli piรน popolosa del continente africano nonchรฉ maggior centro finanziario e commerciale della Nigeria, ha ricevuto una visita inusuale. Tre navi della Marina Popolare di Liberazione cinese โ€“ la fregata Msl Sanya, il cacciatorpediniere Msl Nanning e la nave rifornimento Weishanhu โ€“ hanno infatti fatto sosta nel grande porto cittadino come parte di una missione tesa a simboleggiare il rafforzamento dei legami tra Pechino e Abuya e, piรน in generale, tra Cina e Africa.

Le intese tra la superpotenza asiatica e il primo Paese africano per Pil e popolazione sono considerevoli, con oltre 200 aziende cinesi che operano in vari settori dellโ€™economia nigeriana, e hanno fatto sรฌ che nel 2022 la Nigeria diventasse il secondo partner economico in Africa per la Cina dopo il Sudafrica.

La stessa Lagos ne รจ il simbolo ideale: il progetto Lekki Deep Sea Port, inaugurato il 22 gennaio 2023, ha enormemente espanso le capacitร  del suo complesso portuale grazie a un corposo piano di investimenti cinesi. Naturalmente, la gestione di questo snodo che si candida a diventare la porta della Nigeria (e, potenzialmente, dellโ€™Africa occidentale) sul mondo รจ appannaggio della societร  statale China Harbour Engineering Company.

Le molte vie del corteggiamento cinese in Africa

Pechino e le sue controparti africane hanno presentato i suddetti investimenti come parte del progetto cinese della Nuova Via della Seta, che molti paesi del continente hanno abbracciato con entusiasmo. Dal 2018, il Forum sulla Cooperazione Sino-Africana (Focac) รจ diventato il principale organo di coordinamento di questo piano infrastrutturale, nonchรฉ un veicolo dellโ€™influenza diplomatica cinese (lโ€™unica condizione politica per aderire al Focac รจ riconoscere il โ€œprincipio della sola Cinaโ€, cioรจ disconoscere diplomaticamente Taiwan).

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi mentre stringe la mano al suo omologo sudafricano, Maite Nkoana-Mashabane, durante la cerimonia di apertura del sesto summit del Forum sulla Cooperazione Sino-Africana, a Pretoria, Sudafrica, 3 dicembre 2015.

Ma gli investimenti in infrastrutture non sono lโ€™unica carta giocata da Pechino nel corteggiamento serrato dei Paesi africani. Un altro elemento che ha contribuito a far guadagnare popolaritร  alla Repubblica Popolare sono state le donazioni di vaccini gratuite durante la pandemia Covid, quando i Paesi occidentali bloccarono le forniture al Terzo Mondo o, in alcuni casi, inviarono addirittura carichi di medicinali scaduti destinati allo smaltimento.

Questi episodi fornirono facili munizioni ai cinesi, permettendogli di dipingere un Occidente avido e ipocrita pronto a usare lโ€™Africa come una discarica, a differenza di una Cina generosa disposta a inviare milioni di dosi gratuite di vaccini mentre nel Paese erano ancora in corso una rigida lotta anti-Covid.

Un altro aspetto di questa vera e propria campagna di influenza รจ stata la politica del debito. Pechino รจ sempre stata molto attenta a deflettere le accuse occidentali di voler schiavizzare economicamente i Paesi del Sud Globale attraverso la tattica della โ€œtrappola del debitoโ€ che in passato, proprio per mano di governi occidentali, ha ridotto in ginocchio piรน di un Paese in via di sviluppo.

La Cina lo ha fatto mediante abili manovre politiche ben pubblicizzate: nel 2022, proprio a un incontro del Focac, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha annunciato, per esempio, la cancellazione di importanti debiti che 17 Stati africani dovevano alle autoritร  cinesi. Apparentemente una mossa โ€˜in perditaโ€™ agli occhi economicisti di noi occidentali, il pragmatico gesto ha permesso a Pechino di guadagnare credibilitร  come partner, convertendo un obbligo economico in capitale politico da spendere in futuro sulla base della riconoscenza dei Paesi beneficiari.

Come la rivalitร  commerciale sta diventando una competizione militare

Tornando al trio di navi militari nel porto di Lagos, sono solo lโ€™ultimo segno di un rafforzamento degli interessi cinesi in Africa, anche militari. Lโ€™espansione degli scambi sino-africani ha portato Pechino a focalizzare la sua attenzione sulla lotta alla pirateria, individuata come una minaccia alle portacontainer cinesi. Questo nuovo indirizzo ha portato allโ€™apertura della prima e finora unica base militare cinese fuori dai propri confini nazionali, quella di Gibuti, posta convenientemente a guardia della rotta di Suez, autostrada prediletta delle merci cinesi dirette in Europa.

Ma la creazione di una nuova rotta commerciale centrata sul nuovo perno portuale di Lagos avrebbe indotto Pechino a valutare la possibilitร  di impiantare nuove basi militari lungo la costa atlantica africana. In particolare, secondo lโ€™intelligence americana, la Repubblica Popolare sarebbe in discussione con la piccola Guinea Equatoriale per la costruzione di una base navale nel porto di Bata, unโ€™eventualitร  ritenuta tanto seria da spingere Washington ha inviare un proprio rappresentante nel Paese a mettere in guardia il governo locale.


Gli Stati Uniti guardano infatti con sospetto le iniziative cinesi. Il fatto che la Cina, una potenza storicamente terrestre, stia sviluppando infrastrutture per garantire la libertร  di navigazione e tutelare i propri commerci, un assioma tipico delle potenze navaliste, fa temere a Washington che Pechino miri a contestare il ruolo americano come principale potenza marittima. Timore che si assomma allโ€™ostilitร  derivante dal vedere una superpotenza ostile affacciarsi sullโ€™Atlantico per la prima volta dal 1962, dopo decenni in condizione, relativamente incontrastata, di essere de facto un โ€œlago americanoโ€.

รˆ tuttavia difficile non collegare lโ€™avanzamento del nuovo ordine internazionale propugnato dalla Cina con il complessivo ripiegamento delle posizioni occidentali nella regione. Il 1 luglio scorso le Nazioni Unite hanno posto fine alla missione di peacekeeping Minusma, su richiesta del governo del Mali, dove i Caschi Blu erano presenti dal 2014 per combattere il terrorismo e le formazioni ribelli Tuareg.

Il ritiro dellโ€™Onu segue quello delle truppe francesi da quello che รจ stato a lungo considerato un Paese appartenente alla sfera dโ€™influenza della francafrique. La nuova giunta di Bamako ha optato per la compagnia di mercenari russa Wagner per garantire la propria sicurezza.

Unโ€™operazione simile รจ andata in scena nella Repubblica Centrafricana, in Burkina Faso, in Mali e, da ultimo, anche in Niger, con il recente colpo di stato. Ma forse il piรน evidente colpo al soft power occidentale รจ avvenuto in Etiopia dove lโ€™agenzia statunitense per gli aiuti internazionali Usaid ha sospeso le forniture umanitarie, presto imitata dal World Food Program delle Nazioni Unite, guidata dalla statunitense Cindy McCain (giร  moglie del Senatore John McCain). Motivata ufficialmente con il rischio che i gruppi armati impegnati nella confusa guerra civile etiope potessero dirottare i carichi umanitari, la decisione ha comunque lasciato decine di milioni di etiopi in balia della fame.

Addis Abeba si รจ rapidamente rivolta a quella che giร  da alcuni anni era diventata un interlocutrice privilegiata, la Cina. Pechino ha risposto celermente: a fine luglio il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha visitato il Paese, preannunciando una riduzione del debito etiope detenuto dalla Repubblica Popolare e un forte investimento per la ricostruzione. Wang ha anche ribadito lโ€™appoggio cinese allโ€™adesione del Paese africano al gruppo Brics.

Pechino si siede a tavola: dal cibo passa il soft power cinese

La cattiva pubblicitร  per lโ€™Usaid e del Wfp appare piรน stridente se messa a confronto con il recente summit che la Fao, lโ€™agenzia Onu che si occupa di alimentazione e che affianca il Wfp nella lotta alla fame nel mondo, ha indetto a Roma su questโ€™ultimo argomento.

Presieduta dal recentemente riconfermato direttore generale Qu Dongyu (eletto nel 2019 dopo aver battuto la candidata europea e da allora ripetutamente accusato dai media occidentali di aver fatto gli interessi di Pechino), il forum ha dato ampio spazio al ruolo dei Paesi africani, tornati recentemente agli onori delle cronache per lโ€™impatto che sta avendo su di essi la sospensione dellโ€™accordo sul grano ucraino e per la loro partecipazione al summit Russia-Africa di San Pietroburgo.

รˆ stato Ibrahim Hassane Mayaki, ex presidente del Niger e oggi inviato speciale per lโ€™alimentazione dellโ€™Unione Africana, ha esplicitare lโ€™obiettivo piรน ambizioso: ยซIn 20 anni lโ€™Africa nutrirร  il mondoยป, dichiara parlando di un continente ricco di terreni inutilizzati che potrebbero essere convertiti a scopo agricolo ma afflitto da una mancanza di infrastrutture che ogni anno lo costringe a importare beni alimentari per oltre 70 miliardi di dollari.

Un paradosso che spinge la commissaria allโ€™agricoltura dellโ€™Ua Josepha Sacko del bisogno di una ยซsovranitร  alimentareยป africana. Un piano che sarebbe congruente con lโ€™obiettivo dellโ€™Onu โ€œFame Zero 2050โ€ ma che richiederebbe investimenti infrastrutturali molto impegnativi.

Lโ€™elezione di Qu risale al 2019, la creazione del Focac al 200 ma i legami sino-africani hanno radici molto piรน antiche. Basti pensare che il debutto internazionale di ogni nuovo ministro degli Esteri cinese, sulla falsariga della visita di rito che solitamente ogni nuovo Presidente americano accorda agli alleati occidentali come simbolo del legame atlantico, avviene fin dagli Anni Settanta in Africa come segno di attenzione e prioritร  accordata da Pechino alle richieste del continente. Un inclinazione allโ€™ascolto che si inserisce nellโ€™apparente paradosso di una potenza ormai intensamente industrializzata e che tuttavia si concepisce ancora come interprete dei Paesi in via di sviluppo.

Il Presidente cinese Xi Jinping ama ricordare spesso come sotto la sua leadership la Cina abbia eradicato la povertร  assoluta, unโ€™affermazione probabilmente esagerata ma che incarna il โ€œsogno cineseโ€ di una nazione di un miliardo e mezzo di abitanti che in mezzo secolo รจ riuscita a passare dallโ€™agricoltura di sussistenza a contendere allโ€™America il predominio tecnologico sullโ€™intelligenza artificiale.


Un modello che suona come una promessa e che fa proseliti in Africa, che vede nelle iniziative cinesi un modo per rafforzare il proprio sviluppo. In assenza di offerte comparabili o di un controcanto narrativo da parte occidentale, lโ€™Africa appare destinata a slittare logicamente nelle braccia di Pechino.

Foto in evidenza: “China in Africa” by futureatlas.com is licensed under CC BY 2.0; “Forum on China-Africa Cooperation, 3 Dec 2015” by GovernmentZA is licensed under CC BY-ND 2.0; “Farmers evaluate wheat grains during participatory trials, Ethiopia” by Bioversity International is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

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Federico Sangalli

Federico Sangalli

Milanese atipico trapiantato a Roma, nato negli ultimi scampoli del secolo scorso. Germogliato al Classico e cresciuto allโ€™ombra dei chiostri della Cattolica di Milano, sono un inguaribile appassionato di storia e geopolitica. Dopo varie esperienze in ambito editoriale e diplomatico, collaboro con Aliseo nella convinzione che fare informazione significhi unire la serietร  dell'analisi alla facilitร  d'accesso della divulgazione.

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