Con cadenza quadriennale, in piena calura estiva, i “cancelli dell’Olimpo” si spalancano per accogliere gli atleti migliori, coloro che faranno la storia.
Le Olimpiadi – massima glorificazione dello sport – si pongono come uno scrigno di valori, la cui portata li ha resi, più o meno rapidamente, globalmente condivisi. Per questo sono degne di essere attese con trepidazione. Ma quando si parla di agonismo olimpico, non sfuggono le funzioni diplomatiche dello sport, specie se è la diplomazia stessa ad aggiornarsi insistentemente.
E se è vero che lo sport genera diplomazia, in che misura i suoi effetti possono attecchire a livello internazionale?
I Giochi Olimpici, normalmente, sono un’ottima cassa di risonanza per misurare tutta la potenza di ciò che adesso è la sport-diplomacy, oltre che un laboratorio sperimentale per assestare quest’ultima alle sfide emergenti. E in un 2024 che urla prepotentemente “guerra”, il nuovo “codice diplomatico” dello sport è chiamato a ridestarsi per giocare le sue carte: innescare la Tregua Olimpica.
Spesso mortificata e incompresa, essa si inserisce all’interno di un più complesso dibattito internazionale che polemizza ancora sulla sua efficacia, declassandola a mera leggenda. Lo scetticismo in merito verrebbe dissipato se si conoscessero a fondo la sua storia millenaria e il suo significato.
Ekecheiria: antico elisir di pace
La genesi dell’iniziativa è da ricercare nella mente degli antichi, i greci, artefici di quello che fu, concretamente, un prodotto pattizio: correva il lontano 776 a.C e la città di Olimpia si preparava ad accogliere i primi giochi sportivi in assoluto. Ifito, re di Elide, Cleostene, re di Pisa, e Licurgo, re di Sparta, rifuggendo dalla condizione di perenne belligeranza fra le diverse città-stato greche, addivennero alla conclusione di dover cessare le ostilità, ratificando un trattato ad hoc.
Il documento, nell’ottica di garantire la massima sicurezza per i giovani atleti partecipanti, dichiarava ufficialmente la sacertà e l’inviolabilità della città di Olimpia per tutta la durata dei giochi. Figlia di un transitorio “Regale Triumvirato della Pace”, l’Ekecheiria – o Tregua Olimpica – si pone come preliminare manifestazione di una proto-diplomazia sportiva.
Inizialmente fruttuosa, tuttavia non si fregia di un’efficienza a lungo termine. Più volte violata e concettualmente dormiente per secoli, fu ripristinata solo nel 1992 tramite un appello del Comitato Olimpico Internazionale. L’anno successivo fu definitivamente disciplinata all’interno della risoluzione 48/11 delle Nazioni Unite.
Nella sua connotazione più moderna, la Tregua continua a custodire la sua eredità greca, ma in una versione meno astratta per i tempi attuali.
Come si legge nel documento del 1993, emblematico, l’Assemblea Generale sottolinea l’importanza della mobilitazione dei giovani come messaggeri di pace, una più stretta collaborazione fra gli Stati membri e il Comitato Olimpico Internazionale e l’osservanza della Tregua in conformità con i principi della Carta delle Nazioni Unite.
In un burrascoso 2024, lo sport non naviga di certo in acque serene. Troppe le sfide e troppe le soluzioni da ricercare. Quest’anno spetta alla città di Parigi l’onore e l’onere di essere la nuova Olimpia, “sacra e inespugnabile” per poco più di due settimane. La nuova Ekecheiria parigina dovrà essere un “unequivocal signal to the world”, così come è stato dichiarato, lo scorso novembre, dal Presidente del Cio Thomas Bach di fronte all’assemblea Generale dell’Onu.
A chiudere il suo discorso, una preghiera rivolta al mondo intero: “Please: Give Peace a chance!”
Una Russia a metà
Per la seconda volta consecutiva, dopo l’esperienza di Tokyo, gli atleti russi devono cedere alle stringenti limitazioni del Cio. Numericamente esigui, privati di bandiera, inno e qualsivoglia simbolo che rimandi al loro Paese, vincolati a gareggiare individualmente, sono al centro di una disputa che infiamma l’opinione pubblica russa.
Con un Putin che ha palesato la sua riluttanza ad adattarsi al diktat di presentarsi ai giochi alle suddette condizioni, definendolo una chiara espressione di “discriminazione etnica”, la società russa si spacca fra chi appoggia la partecipazione ai Giochi e chi, invece, vorrebbe optare per il boicotaggio.
E volare fino a Parigi significherebbe tradire il regime ed essere ritenuto quasi un esule.
Se si rammenta, inoltre, che lo spettro del doping di Stato ancora insospettisce la Wada (World Antidoping Agency) – specie alla luce delle non troppo trasparenti manovre portate avanti dalla Rusada (Russian Antidoping Agency) – l’Orso preferisce arroccarsi evitando di esporsi.
Ad avvelenare la situazione, le tutt’altro che rassicuranti intenzioni da Kiev che, da parte sua, invita a non avere nessun contatto con gli atleti russi, giudicando la Tregua come sterile e inopportuna.
L’equilibrismo di Macron tra hard e soft power
Le recenti dichiarazioni del presidente francese in merito allo sviluppo della guerra lasciano poco spazio ai fraintendimenti: la possibilità di inviare truppe sul suolo ucraino descrive una virata, tanto consistente quanto pericolosa, nella politica estera macroniana, un campanello d’allarme che ha generato un forte malcontento.
“Noi non siamo in guerra contro la Russia. Bisogna semplicemente essere chiari: non dobbiamo permettere che la Russia vinca. La Francia è una forza di pace. Ma oggi, per avere la pace in Ucraina, non bisogna essere deboli.”
Questo quanto proferito dal presidente d’Oltralpe, circa due mesi fa, durante un’intervista alla tv nazionale. La retorica francese viaggia su un doppio binario: sottolineare di essere una forza di pace, ma per far ciò, la debolezza non è ammessa. Soft e hard power si intrecciano.
Il ragionamento “muscolare” di Macron si pone, tuttavia, in antitesi con il messaggio di pace di cui la stessa Tregua Olimpica è intrisa. E se essa implica la deposizione delle armi in senso letterale, a rigor di logica, anche il linguaggio diplomatico dovrebbe metaforicamente deporre queste ultime.
Lo sport è soft power. Per questa sua natura “morbida” e non coercitiva, deve escludere qualunque allusione bellicista.
Date le premesse iniziali, non ci si aspetta che le imminenti Olimpiadi segnino un cambiamento epocale a livello internazionale, ma quantomeno un momento di stand-by o di riflessione per i leader politici che serva da base per nuovi scenari di pace.
foto in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:RIAN_archive_487025_Opening_ceremony_of_the_1980_Olympic_Games.jpg; foto nell’articolo: 1) https://commons.wikimedia.org/wiki/File:GR-olympia-palaestra.jpg