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UE, energia e una Russia che non sorprende

Guerra o non guerra?

La situazione fra Russia e l’Ucraina (e tutti quelli che la sostengono) è sempre più tesa. I pareri si dividono fra coloro che ritengono che una guerra ci sarà, e chi sostiene che questa eventualità verrà scongiurata. Secondo Niall Ferguson, come scritto in un articolo su Bloomberg, l’esplosione di un conflitto è uno scenario più che verosimile perché nelle intenzioni di Putin c’è quella di riportare la Russia alla grandezza dei tempi dello Zar Pietro I.

La situazione

Al momento sono schierati ben 130 mila militari russi con artiglieria pesante al confine fra Russia e Ucraina, anche se sembrerebbe che fra questi non ci siano figure di comando ma solamente soldati semplici. Le motivazioni di tale mobilitazione militare sono legate all’entrata dell’Ucraina nella NATO e a tutta una serie di misure che sarebbero a corollario di questo evento.

Non a caso Putin ha posto delle condizioni per questa eventualità già a partire da metà dicembre circa: Stati Uniti e NATO non devono collocare missili a corto e medio raggio in prossimità dei confini russi; sempre gli Stati Uniti non devono posizionare armi nucleari al di fuori dli proprio territorio; l’alleanza non deve dispiegare armi o truppe nei paesi membri che si sono uniti successivamente al Founding Act tra NATO e Russia del maggio 1997.

In risposta a tale dispiegamento di forze, le controparti sembrano intenzionate a adottare la medesima fermezza. Gli Stati Uniti, dopo aver inviato negli scorsi giorni ben novanta tonnellate di materiale bellico con un aereo cargo (consegna annunciata da un tweet dell’ambasciatore americano in Ucraina), hanno deciso di inviare tremila unità ridivise fra Polonia, Germania e Romania. Il comportamento delle nazioni europee è più variegato.

La Gran Bretagna ha annunciato che è pronta ad offrire alla NATO un massiccio dispiegamento di armi, truppe, navi da guerra e jet in Europa per rispondere alla crescente ostilità russa. Altri membri dell’Alleanza Atlantica, come Danimarca, Spagna, Francia e Paesi Bassi, hanno inviato caccia e navi da guerra nel Baltico e nel Mar Nero. Parigi, ha anche annunciato che è pronta a schierare centinaia di truppe in Romania, vista la sua posizione geografica di “epicentro delle tensioni”.

La Germania, invece, ritenendo controproducente inviare armi o contingenti, sta fornendo attrezzature mediche nel tentativo di non contribuire all’escalation.

Se da un lato le dimostrazioni di forza potrebbero fungere da deterrente ad un’invasione, dall’altro potrebbero essere considerate come parte di una profezia che si autoavvera; infatti, se tutte le parti in causa sono convinte che una guerra è destinata a scoppiare, allora i provvedimenti adottati non faranno altro che spingere proprio verso un conflitto che confermerà la convinzione alla base delle loro decisioni.

In questi giorni si terranno anche le Olimpiadi invernali a Pechino in virtù delle quali la Cina vorrebbe evitare lo scoppio di un conflitto. L’evoluzione della situazione è incerta e con essa anche i tempi di un suo riassorbimento o peggioramento.

E l’Unione Europea in tutto ciò?

Incertezza, immobilismo e marginalità. Queste sembrano le parole che meglio descrivono la situazione europea nei negoziati. Come visto, se alcuni stati cercano di mostrare una certa fermezza, altri, come la Germania, prendono decisioni più “accomodanti”. Per non parlare dell’Italia che finora non ha espresso alcuna posizione.

Non a caso, Joseph Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione Europea in politica estera, a margine della conferenza di Brest ha affermato che Bruxelles avrebbe incominciato ad occuparsi di stabilire una posizione comune sulla Russia, sottolineando che anche in caso di un’invasione non esiste un vero consenso europeo che vada oltre le sanzioni.

Gli interessi economici ed energetici (come vedremo fra poco) sono molteplici e delicati; per la Germania c’è in ballo anche la questione legata al gasdotto Nord Stream 2 che attende solo l’approvazione. Ma nonostante questa incertezza sia inequivocabile, anche da parte dei Russi (che si teme scavalchino l’UE nei negoziati), gli Stati Uniti non esitano a rimarcare la centralità della coordinazione fra loro e l’Europa, in primis sulla questione delle sanzioni.

L’instabilità energetica

Oltre alla tensione e ai futuri scenari bellici ancora più gravi che potrebbero manifestarsi, già oggi ci sono problemi di natura molto più “ordinaria”, ma comunque rilevanti, che stanno influenzando la vita dei cittadini, e che uniti alle grandi manovre europee per il futuro del clima rischiano di rendere la situazione ancor più critica: la stabilità energetica e il rincaro delle bollette.

Qualche dato

È fondamentale fornire dei dati per inquadrare la situazione dal punto di vista energetico. In Italia l’energia elettrica è arrivata a costare oltre i 200 euro al Megawattora, quando solo un anno fa costava quasi cinque volte in meno, 48 euro al Megawattora, e l’Europa è al secondo posto per prezzi dell’energia (ma emette meno CO2 per unità di Pil rispetto ad Asia e USA). Ma come la produciamo questa energia noi europei?

Leggendo i dati Eurostat, emerge che dal 2008 al 2018 tutti gli stati membri dell’UE erano importatori netti di energia, con Germania, Italia, Francia e Spagna come maggiori importatori in termini assoluti. E proprio la Russia del tanto bellicoso Vladimir Putin era il maggior fornitore di tutti e tre i combustibili fossili: carbone (42,4%), petrolio (29,8%) e gas (40,4%). Per quanto riguarda quest’ultimo, la percentuale è persino aumentata nel 2019 attestandosi al 41,1%.

In particolare, nel mix energetico europeo, al 2019, la quota di energia derivante da gas era pari al 21,7%, con quella dagli altri combustibili al 18,2%. L’Italia è il paese che usa più gas di tutti, avendo un sistema di produzione energetica basato principalmente su questo combustibile e sulle rinnovabili. Infatti, il 43% di energia da centrali termoelettriche proviene da impianti a gas.

I problemi creati dal Green Deal Europeo

Oltre al problema legato all’instabilità politica russa, anche il grande piano di neutralità climatica voluto dall’UE sta contribuendo a rendere la situazione critica. Come afferma Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, in un’intervista sul Foglio del 14 gennaio, il pacchetto di misure per abbattere del 55% le emissioni al 2030 e poi a zero emissioni nel 2050 ha rallentato gli investimenti nei sistemi energetici tradizionali portando ad una riduzione della capacità produttiva e delle scorte.

Il Copasir, in una relazione sulla sicurezza energetica, riconosce la necessità di diversificare il più possibile il mix energetico e di estrarre il gas dai giacimenti italiani che ridurrebbero la dipendenza dagli approvvigionamenti esteri. Ma il piano europeo che prevede una transizione così massiccia e veloce ha spostato l’obiettivo di molti investitori proprio sulle tecnologie propedeutiche alla decarbonizzazione.

È bene ricordare che dal 1990 al 2019 l’Europa ha ridotto le emissioni di un miliardo di tonnellate, mentre gli altri le hanno aumentate di tredici miliardi, e che rappresenta solo l’8% delle emissioni globali.

La lungimiranza che oggi aiuterebbe

Considerando questi elementi viene da chiedersi: se sia stato saggio da parte dei singoli stati membri dell’UE affidare il primato nella fornitura di materie prime alla Russia senza adottare contromisure nel corso degli anni. Contromisure che si sostanziassero in accordi con altre nazioni, se possibile, o nella diversificazione di produzione energetica, magari grazie al nucleare.

Al di là dell’attuale momento di estrema tensione, l’autoritarismo e la volontà di espandersi sono elementi che Putin non ha mai nascosto. Quest’ultimo non è il primo episodio e probabilmente non sarà l’ultimo.

Il regime russo incarna da sempre i valori contro cui i maggiori stati membri dell’UE e l’UE stessa, come soggetto sovrannazionale di sintesi, hanno mostrato di voler combattere e che non a caso hanno indotto i provvedimenti di questi giorni.

Appoggiare più o meno sommessamente il diritto dell’Ucraina ad autodeterminarsi, dimostra (o quanto meno fa pensare) che la lotta all’autoritarismo sia ritenuta dai leader e dalle istituzioni europee un obiettivo prioritario rispetto alla stabilità economico/energetica. Scelta nobile, ma allora sarebbe stato ben più saggio e lungimirante portare avanti negli ultimi anni un processo di autonomizzazione energetica da un paese come la Russia.

Mercoledì è passato l’atto delegato per l’inclusione di nucleare e gas nella tassonomia green che dovrà essere votato nei prossimi quattro-sei mesi dal parlamento europeo, e in Italia attendono l’autorizzazione alla costruzione da parte del ministero della transizione ecologica ben quarantotto centrali a gas che dovranno fare da backup quando il sole non splenderà ed il vento non soffierà. In entrambi i casi vorrà dire ancora più domanda di gas in futuro.

Ottima notizia che dimostra come la Commissione Europea, sia consapevole dell’imprescindibilità di gas (meno inquinante rispetto a carbone e petrolio) e nucleare nella transizione; ma il primo, come detto, proviene per il 41,4% dalla Russia (che sceglie come e quando aprire i rubinetti) ed il secondo richiede almeno cinque anni per la costruzione di un reattore e non meno di altri cinque/dieci per la burocrazia, quindi sarebbe stato bene averlo già a disposizione, e comunque sarà utile, se adottato, per tamponare situazioni critiche ben al di là del breve termine.

Nessuno sa quale sarà l’evoluzione della situazione. Potrebbe deflagrare in un conflitto come afferma Niall Ferguson, potrebbe risolversi in sanzioni economiche, che per essere efficaci necessitano di alcuni tratti (come la multilateralità e la specificità), o potrebbe protrarsi in questo stato di tensione e incertezza per chissà quanto ancora.

Al momento l’unica cosa certa è che le categorie più colpite sono quelle dei consumatori e di coloro che hanno delle attività, il cui benessere viene subordinato ad una missione superiore che avrebbe richiesto in passato strategie diverse per potercela permettere oggi.

di Enrico Ceci

Enrico Ceci

Ciao, sono Enrico e sono capo redattore della sezione economia per Aliseo. Classe '95, laureato in economia e in studi europei. Nei miei articoli, legati principalmente a temi economici ed energetici, cerco di offrire un punto di vista diverso, sempre e solo attraverso il supporto dei dati.
Seguendo lo spirito di Aliseo, il mio intento è arricchire tutti coloro che dedicheranno un momento del loro tempo alla lettura dei miei contributi.

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