Erano per il disarmo unilaterale, ora sono falchi contro Mosca. E per sconfiggere Putin sono pronti a tornare al carbone
Frieden schaffen ohne waffen. “Raggiungere la pace senza armi” era lo slogan dei Verdi tedeschi nei primi anni ’80. Allora il governo di Helmut Schmidt acconsentì al dislocamento dei missili balistici Nato sul territorio della Repubblica Federale in risposta agli SS20 sovietici puntati sulle capitali occidentali. I neonati Verdi si opposero duramente alla scelta di quell’esecutivo, che come oggi comprendeva socialdemocratici e liberali.
La risposta alle minacce di Mosca per gli ecologisti era il disarmo unilaterale, da considerare migliore rispetto al rischio di escalation nucleare. Dopo 40 anni, i Verdi sono al governo e sono i maggiori fautori dell’aiuto anche militare all’Ucraina, anche a costo di sacrificare gli obiettivi climatici per cui sono stati eletti.
La parabola dei Verdi tedeschi
All’inizio della loro storia, i Grünen erano un partito alternativo, formato da hippie, ecologisti della prima ora, femministi e pacifisti. Si opponevano non solo al governo, ma più in generale al modo di fare politica mainstream: nel 1985 Joschka Fischer fu il primo ecologista a giurare come ministro nella Regione dell’Assia e lo fece calzando un paio di sneakers bianche. 13 anni dopo guidò il partito per la prima volta al governo con i socialdemocratici di Gerhard Schröder e divenne ministro degli Esteri.
Nel 1999 gli Stati Uniti decisero di intervenire militarmente in Kosovo. Schröder era favorevole al coinvolgimento della Germania, che sarebbe stato il primo fuori dai confini nazionali dopo la Seconda Guerra Mondiale. In uno storico congresso, Fischer si trovò a confrontarsi con i propri compagni di partito, fortemente contrari all’intervento. Il ministro degli Esteri riuscì a strappare l’approvazione, ma da allora perse la stima e l’appoggio di molti dei suoi sostenitori. La base del partito rimaneva infatti fieramente pacifista.
Nel caso del Kosovo, furono i socialdemocratici a portare i Verdi all’intervento militare. Oggi si può dire che stia accadendo il contrario. Il cancelliere Olaf Scholz è infatti il leader di un partito storicamente russofilo: Schröder dopo la fine del suo incarico è entrato nel Consiglio di Amministrazione di Gazprom ed è considerato molto vicino a Vladimir Putin, prima di lui Willy Brandt era stato il fautore della cosiddetta Ostpolitik, una politica di dialogo con Germania Est e Unione Sovietica.
Scholz si è trovato a dover mediare tra il sostegno all’Ucraina e la volontà di non rompere del tutto con Mosca, da cui Berlino è fortemente dipendente dal punto di vista energetico. All’interno del governo, i ministri ecologisti Robert Habeck (Economia e Clima) e Annalena Baerbock (Esteri) si sono invece battuti per inviare armi pesanti all’Ucraina. E l’hanno fatto senza avere opposizione interna o quasi.
Il cambio di postura è totale, ma spiegabile. Da tempo ormai, gli ecologisti si pongono come un partito profondamente attento al rispetto dei diritti umani e per questo sono anti-russi e anti-cinesi. Baerbock e Habeck hanno fatto campagna contro la realizzazione del gasdotto Nordstream 2 che va da San Pietroburgo al nord della Germania, fortemente voluto invece da Angela Merkel. Rispetto a Pechino poi, sostengono che Berlino dovrebbe ridurvi il proprio commercio per via del trattamento riservato alla minoranza uigura nella regione dello Xinjiang.

L’inversione a U sul carbone
Al momento dell’invasione russa dell’Ucraina dunque, gli ecologisti non hanno avuto dubbi. «In questa situazione, in cui le persone stanno difendendo la propria vita, la democrazia e la libertà, la Germania e anche i Verdi devono essere pronti ad affrontare la realtà – e la realtà è che bisogna respingere un aggressore», ha dichiarato recentemente Robert Habeck in un comizio per difendere l’invio di armi a Kiev.
I Grünen si pongono ormai come un partito pragmatico, lontano dall’immagine di idealisti ingenui con cui li hanno spesso etichettati gli avversari. Una prova clamorosa di questo è la firma di Habeck a un provvedimento emergenziale che impedisce la chiusura di alcune centrali a carbone, da cui l’esecutivo di Berlino vorrebbe definitivamente uscire nel 2030. «Si tratta di una mossa amara ma necessaria per impedire a Vladimir Putin di dividere l’Europa utilizzando l’arma dell’energia», ha dichiarato il ministro. I Verdi preferiscono dunque mantenere le centrali a carbone piuttosto che quelle nucleari, il cui processo di chiusura iniziato da Angela Merkel sta continuando senza impedimenti.
Tradimento o maturazione? I tedeschi sembrano propendere per la seconda opzione: il seguito dei Grünen si è impennato dall’inizio della guerra in Ucraina. Al 24 di febbraio, la media dei sondaggi li stimava al 16%: oggi molti istituti li accreditano quasi al 25, ben oltre i socialdemocratici. E il seguito non è solo sulla carta: il 15 maggio gli ecologisti hanno ottenuto il 18,2% alle elezioni in Nord-Reno Vestfalia, il più popoloso e ricco dei Länder tedeschi. A Düsseldorf governeranno con il centrodestra della CDU.