«Brancati è lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell’erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti. Il fascismo e l’erotismo però sono anche, nel nostro paese, tragedia: ma Brancati ne registrava le manifestazioni comiche e coinvolgeva nel comico anche le situazioni tragiche»
Così il grande Leonardo Sciascia, autore del romanzo Il giorno della civetta, ci presenta un altro scrittore siciliano molto interessante per capire la vera natura del fascismo e soprattutto dell’antifascismo: Vitaliano Brancati nasce il 24 luglio 1907 a Siracusa, ma viene adottato fin da subito dalla città di Catania, restando comunque un siculo doc legato alle sue origini.
Oltre allo stretto legame con la sua terra, Brancati spicca tra i grandi della letteratura italiana per il suo umorismo, una leggerezza e una comicità straordinarie, le quali gli consentono una narrazione fluida e divertita. Di certo Brancati ha saputo dipingere egregiamente un periodo enigmatico della nostra storia: avvento del Ventennio, apogeo del fascismo e caduta del regime.
Le prime opere abbracciano favorevoli la politica mussoliniana, tanto che Brancati ha aderito al partito con il tipico entusiasmo contagioso ed effervescente che proliferava nel Paese: basti ricordare l’incontro personale tra lui e il Duce il 16 giugno 1931 a Palazzo Venezia, durante il quale il giovanissimo Brancati conobbe l’uomo più persuasivo, eloquente e magnetico del momento. Mussolini gli confessò di aver letto una sua opera (non si saprà mai se l’abbia fatto realmente) e parlò dei grandi autori del passato, come Balzac, Zola e Tolstoj: Brancati in quel momento percepì di essere al cospetto di un uomo potente e carismatico, che nella sua semplicità sarebbe stato in grado di smuovere le masse e comandare un popolo intero, ammaliandoli come stava facendo con lui. A trent’anni dunque ebbe questa grande folgorazione.
Ma è col passare del tempo che Brancati ha sfruttato la sua abilità comico per raccontare le vere sfumature del fascismo: grazie al suo senso grottesco-umoristico di pirandelliana memoria, questo pungente scrittore tracciava ritratti ben precisi ma velati, i quali spesso sfociavano nella più strana pazzia. Incredibile come Brancati si fosse infatuato del fascismo per poi combatterlo dopo la censura delle sue opere («Tutto quello che scrissi o pubblicai dal ’36 in poi… è ostile al gusto ufficiale»): Il bacio, opera del 1936, ha avviato la fase antifascista di Brancati, caratterizzata da analogie comiche tipiche gogoliane (Gogol ha denunciato allo stesso modo lo scempio dello stalinismo in URSS). Inoltre si ravvisano anche sfumature cechoviane nell’opera del 1944 Una festa da ballo, dove il fascismo è descritto come “divise in quel ballo, che luccichio di stivali! Che alamari, che saluti, che maestre eleganti, che ispettori, che ispettrici, che teste arrovesciate, che spie, che menti in aria, che nastrini, che giubbe, che sorrisi, che ordine, che mammelle, che rispetto per i potenti, che giornalisti, che navigatori, che trasmigratori, che volatori, che inni, che alalà!”.
Brancati è stato un attento osservatore della società e ha compreso fin da subito che il genere umano è inspiegabile, poiché tendente alla follia: i suoi personaggi sono tutte caricature di soggetti normalissimi che popolano la nostra società, i quali però assumono i connotati imposti dal momento storico riducendosi alla follia (risata-pianto, gioia-sofferenza, amore-odio, proprio come durante il Ventennio). Inoltre, la grandezza di Brancati sta proprio nel mantenere spesso un genere letterario novellistico, dunque ironico e spensierato anche nei momenti più critici, come durante la Seconda Guerra Mondiale. Basti pensare al personaggio di Emanuele Rosso, che annuncia “È finita per me!” dopo un’abbuffata: è un evidente riferimento al declino di Mussolini e al crollo definitivo del fascismo. Ma anche ad Antonio Magnano de Il Bell’Antonio, la cui impotenza virile equivale alla sua impotenza di agire, come spiegava Sciascia nella sua riflessione.
Quindi la chiave di lettura di Brancati sta proprio nella sua “serissima” ironia: l’autore, attraverso dialoghi e descrizioni, offre un “malessere” drammatico che nella sua semplicità appare comico ma tragicamente serio, incarnandosi nella “noia”. Una noia che non stimola e non stuzzica, essendo il frutto di inganni e delusioni: nel romanzo più importante di Brancati, Don Giovanni in Sicilia (1941), non viene mai pronunciato il fascismo, come se il regime fosse qualcosa di intangibile, come se riguardasse una dimensione remota. Il fascismo dunque era proprio questo: lo scorrere lemme dei giorni, il susseguirsi ritmato delle giornate (si legge nell’opera “La vita se ne va». «Diciamo di ammazzare il tempo. E noi stessi, che ammazziamo!»).
Oggi purtroppo l’antifascismo è una moda e si accusa di fascismo ciò che fascismo non è: Brancati ha conosciuto entrambe le realtà, ma ha saputo cogliere da ambe le parti il meglio, per offrire ai lettori una straordinaria produzione letteraria nel rispetto di un’integrità morale.
Di Davide Chindamo