Scatola degli attrezzi
Terre irredente
Era il termine usato dagli Italiani già nel 1866 per descrivere quei territori ancora sotto il dominio straniero, in particolare sotto il controllo dell’Impero Austroungarico. Allo scoppio della Prima guerra mondiale le terre irridente erano ormai quelle del nord est: Trento, Veneto, Istria, Friuli.
Furono questi i territori promessi dagli alleati per farci entrare in guerra al loro fianco nel 1915, suggellando l’accordo con il Patto di Londra. Proprio la mancata concessione di tutte queste terre diede anima al mito della “Vittoria mutilata”.
Vittoria mutilata
Fu il termine usato da D’Annunzio per descrivere quanto guadagnato dall’Italia con i trattati di Versailles. Lo scontento derivava dal fatto che la città di Fiume e altre terre abitate per la maggioranza da Italiani non passarono allo stato sabaudo. Fu uno degli slogan più celebri dopo la guerra e lo stesso Mussolini lo usò spesso per cavalcare il malcontento generale.
Oggi questa posizione è considerata da molti scorretta. L’Italia ottenne territori vasti e importanti, che gli permisero di terminare l’Unificazione. Le lamentele deriverebbero dalla mancata applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli previsto dal presidente americano Wilson, ma non si tratta dell’unico caso. Si tratta infatti di un principio usato dalle potenze vincitrici solo quando faceva più comodo.
“Vittoria nostra, non sarai mutilata”
Gabriele D’Annunzio in un articolo apparso sul “Corriere della sera”
Società delle nazioni
Proposta dal Presidente americano Wilson nei suoi 14 punti, la Società delle nazioni doveva essere una organizzazione sovranazionale per il mantenimento della pace nel mondo. Al termine della Prima guerra mondiale venne effettivamente creata, escludendo la sconfitta Germania, la Russia comunista e gli stessi Usa, il cui Parlamento a maggioranza repubblicana dopo le elezioni di midterm volle ostacolare il democratico Wilson.
Sarà anche per l’espulsione da questa organizzazione per gli attacchi, considerati illegali, all’Etiopia, che Mussolini si alleerà con la Germania di Hitler. La Società infatti non aveva un esercito, essendo così forte il suo afflato pacifista quindi le uniche pressioni che potava esercitare erano di tipo economico, con il divieto per tutte le nazioni partecipanti di commerciare con Paesi che violavano le norme internazionali.
Si capisce allora come l’assenza di Giappone, Russia e Usa fossero fondamentali; il blocco economico era facilmente aggirabile commerciando con queste potenze, dove era possibile rifornirsi di tutto il necessario.
“Dovrà essere creata un’associazione delle nazioni, in virtù di convenzioni formali, allo scopo di promuovere a tutti gli stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie d’indipendenza e di integrità territoriale”.
Woodrow Wilson, 14esimo punto del discorso al Congresso
Contesto storico della Prima guerra mondiale
Il 26 aprile del 1915 l’Italia si impegnava a scendere in guerra. Il plenipotenziario italiano, Guglielmo di Francavilla, firmava il segretissimo Patto di Londra, che la vincolava a schierarsi contro gli Imperi Centrali, e quindi al fianco di Gran Bretagna e Francia, entro un mese dalla firma. In caso di vittoria la penisola avrebbe ottenuto Trentino, Tirolo, Venezia-Giulia, parte della Dalmazia e delle colonie tedesche. L’Italia fino a quel momento si era mantenuta neutrale, come la maggioranza del popolo e del Parlamento voleva.
Il campo degli interventisti però, che contava figure di spicco come D’Annunzio, Marinetti, il Presidente del consiglio Salandra e il re Vittorio Emanuele III, riuscirà a imporre la propria linea. Quando il Patto di Londra venne dichiarato al Parlamento ci furono durissime proteste. Salandra rassegnò le dimissioni per venire nel giro di poco richiamato dal re. L’Italia apriva così il terzo fronte, quello alpino.
Ma se non fosse accaduto?
L’ascesa al potere di Mussolini dopo la Prima guerra mondiale
Mussolini, appena espulso dalla direzione dell’Avanti e dal partito socialista, fonda un nuovo giornale, “Il popolo d’Italia”. Le sue idee però non hanno presa sufficiente per smuovere i neutralisti. Senza l’entrata in guerra non può fare altro che unirsi ai partiti nazionalisti e attendere la fine delle ostilità.
Cessata la guerra Mussolini dirige un importante partito, con consenso popolare. Nulla a che vedere con le oceaniche folle che avrebbe conosciuto se l’Italia avesse partecipato alla guerra. La figura del Duce infatti trova spazio, esattamente come avrebbe poi fatto Hitler, nel malcontento della popolazione e nel mito della “Vittoria mutilata”. Senza, si deve adeguare a un panorama politico “normale”, dove le squadracce fasciste non avrebbero trovato posto con uguale compiacenza.
È probabile allora che, senza Prima guerra mondiale, Mussolini sarebbe potuto essere un politico anche di spicco, ma difficilmente avrebbe instaurato una dittatura. Il mito dell’uomo forte può funzionare solo nel caso se ne senta la necessità.
“Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla.”
Benito Mussolini
Il completamento dell’unità nazionale
Senza partecipare alla guerra, l’Italia resta in attesa della fine delle ostilità. Il rifiuto del Patto di Londra le nega però la conquista delle terre irridente. L’unità nazionale alla fine del 1919 non sarebbe quindi conclusa. Si segue allora la linea di Giolitti.
L’esperto liberale, da scaltro uomo politico, sapeva che l’Italia poteva guadagnare stando neutrale e il suo cavallo si rivela quello vincente. Egli, al governo durante la campagna di Libia, reputava l’esercito italiano assolutamente impreparato per quella prova. Succeduto a Salandra, che ha rassegnato le dimissioni, mantiene la nazione fuori dal conflitto e, dopo la dissoluzione dell’Impero Austroungarico, riesce a farsi assegnare alcuni territori sul confine, in nome del bilanciamento delle forze degli Stati europei.
Non si tratta delle conquiste promesse dal Patto di Londra, ma l’Italia si vede riconosciuto il Veneto e Trento, completando così quella Unificazione iniziata con la Prima guerra d’indipendenza nel 1845. Trieste invece va alla neocostituita Jugoslavia. Sotto la guida di Giolitti la tensione sociale scende, l’economia non danneggiata dalla guerra cresce di più rispetto a quella dei paesi belligeranti. Non si vive nessun Biennio rosso.
“Allorché gli uomini di Stato più eminenti e gli operai sono concordi in un programma, si ha la certezza che questo risponde ai veri bisogni di un paese.”
Giovanni Giolitti
La seconda guerra mondiale
Senza Mussolini al potere, anche la Seconda guerra mondiale cambia d’aspetto. L’Italia ha mantenuto intatto il sistema della monarchia costituzionale. Hitler e la Germania spaventano per la loro potenza, ma senza la politica coloniale aggressiva l’Italia non deve ricercare altri alleati fuori dalla Società delle nazioni, soprattutto per il suo bisogno di materie prime quali acciaio e carbone.
Difficile dire quale sarebbe stata la scelta italiana allo scoppio della guerra. Non legata ad Hitler, la politica italiana avrebbe probabilmente puntato sulla neutralità o sull’entrata in guerra a favore degli alleati. Quest’ultima posizione sarebbe stata particolarmente interessante, perché a quel punto la Germania sarebbe davvero stata circondata dai quattro lati, e forse il nazismo non avrebbe avuto la stessa facilità nell’occupare l’Europa.
Ad oggi l’Italia sarebbe probabilmente in una situazione più rosea. Tra le vincitrici della Seconda guerra mondiale, con un’economia solida e alleati forti, avrebbe potuto svolgere anche un ruolo più indipendente durante la Guerra fredda. Sicuramente diverso sarebbe stato il suo peso nei trattati di pace.
“Per il Fascismo la tendenza all’impero, cioè all’espansione delle nazioni, è una manifestazione di vitalità; il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza.”
Benito Mussolini
Cosa possiamo imparare?
La decisione di entrare in guerra da parte di una minoranza di interventisti, che si ritrovavano però a gestire i ruoli chiave in quel periodo storico, è probabilmente stata errata. L’Italia ha ottenuto nel complesso meno di quanto ha investito. La conquista delle terre irridente sarebbe probabilmente arrivata lo stesso, ma ci saremmo risparmiati migliaia di morti e le tensioni sociali di una nazione al collasso.
La decisione imposta non poteva d’altronde che pesare sul fronte interno, molto meno compatto che quello di altri Stati. Per rendersene conto basta pensare a come nell’Italia del primo dopoguerra si possano ravvisare tutte quelle meccaniche che si sono verificate negli sconfitti. La salita al potere di un dittatore, le tensioni sociali, lo scontento per i trattati di pace sono la dimostrazione che qualcosa non funzionò.
Tra i lati positivi del conflitto sono però da annoverarsi due dinamiche sociali: l’emancipazione femminile (analoga a quella di molti altri paesi belligeranti) dovuta alla loro partecipazione in tutti quei ruoli lasciati sguarniti dagli uomini al fronte, e la consapevolezza di un Paese nuovo, unito per la prima volta contro potenze straniere. Al fronte uomini provenienti da tutte le regioni si trovavano per la prima volta, mischiandosi e condividendo pericoli mortali. Questo non poté che giovare allo spirito nazionale.
Consigli letterari
Sulla Prima guerra mondiale la letteratura è molto vasta. Per una panoramica generale del conflitto può essere interessante l’approfonditissima analisi di David Stevenson “La prima guerra mondiale”. Per il fronte italiano durante Caporetto lo studio di Mario Silvestri “Caporetto, una battaglia e un enigma”, in cui si cercano le motivazioni del tracollo italiano.
Su Giolitti il saggio di Raffaele Colapietra “Saggi su Giolitti” può dare una visione più oggettiva. Tutti i libri del celebre Gaetano Salvemini, invece, mostrano il lato critico e oscuro dell’operato dello statista. Lo storico fu infatti un tenace oppositore del politico di Dronero, che definì “Ministro della malavita”.
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