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Scopri Il ritorno delle guerre

L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

Gli Stati Uniti stanno davvero lasciando il Ciad?
Il Ciad ha ordinato un parziale ritiro delle truppe statunitensi dal suo territorio. Un'altra battuta di arresto dopo il Niger. Ora a rischiare è anche Parigi, mentre Mosca osserva

Gli Stati Uniti stanno davvero lasciando il Ciad?

In questo report:

  • Perché gli Stati Uniti lasceranno il Ciad
  • Il ritiro francese in vista dopo quello Usa?
  • Crisi umanitaria, elezioni, Russia: le variabili in gioco

Le tempeste di sabbia passano, quelle nel Sahel rimangono. Il 16 marzo il colonnello Amadou Abdramane annunciava il termine della collaborazione bilaterale con gli Stati Uniti d’America. Poche settimane dopo, la Repubblica del Ciad ha letto lo stesso copione, provocando l’inquietudine dell’Occidente e degli osservatori locali. Il futuro della regione è destinato all’insicurezza.

Il Pentagono ha successivamente confermato il ritiro di parte delle sue truppe dal territorio del Ciad. Washington ha accettato il rientro di circa 75 unità speciali dalla capitale N’Djamena. La rapidità e il distacco con cui la decisione è stata recepita ha scontentato molti, ma ha origini ben definite.

I militari americani hanno iniziato l’evacuazione dal Ciad nel fine settimana, dovendo completare la loro partenza per la Germania entro il 1° maggio, secondo quanto dichiarato da due funzionari americani. “Mentre proseguono i colloqui con i funzionari ciadiani, il Comando USA per l’Africa sta attualmente pianificando il riposizionamento di alcune forze militari statunitensi dal Ciad, una parte delle quali era già prevista in partenza”, ha dichiarato giovedì il Maggiore Pete Nguyen, portavoce del Pentagono.

Il Ciad non uscirà dalla tempesta, ne seguirà il vortice

A differenza del caso nigerino, gli Stati Uniti possono contare sulla consolidata benevolenza del regime di N’Djamena. Il presidente Idriss Déby Itno, in carica dal 1990 al 2021, è stato definito fondamentale per la buona riuscita delle operazioni anti-terroristiche e contro-inserruzionali, soprattutto a partire dal 2012. Rapporto cordiale resistito all’ascesa al potere del figlio di Idriss, Mahamat Déby Itno.

L’ex presidente del Ciad Idriss Déby Itno e il presidente americano Barack Obama si incontrano a Washington insieme alle rispettive famiglie (2014)

Salito al potere per effetto di un colpo di mano alla morte del padre, Mahamat ne ha suffragato la linea politica. Il regime ibrido da lui instaurato ha mostrato un costante allineamento alle iniziative strategiche francesi e statunitensi, pur non voltando le spalle ad altre forme di collaborazione con nuovi attori regionali.

Fondatore del gruppo regionale G5 Sahel e ospite di centinaia di truppe francesi, il Ciad è la chiave di volta del Sahel. Una centralità messa in discussione dal turbinio politico avviato ad inizio decennio. Il Paese oggi soffre il suo ruolo, scoprendosi dipendente dalla regione di cui era forza stabilizzante. In particolare, i voltafaccia di Sudan (aprile 2023) e Niger (luglio 2023) hanno stretto l’inesorabile morsa della precarietà.

Le infiltrazioni jihadiste da ovest e le ondate migratorie da est hanno aggravato la pressione su N’Djamena. In particolare, nell’ultimo anno, più di 571mila rifugiati sudanesi si sono precipitati in Ciad, aggiungendosi agli oltre 400mila che sono fuggiti in seguito alla guerra in Darfur dal 2003. Oltre 160mila rifugiati del conflitto civile sudanese sono oggi stipati nella città di confine di Adre, il principale punto di ingresso per coloro che fuggono attraverso il confine orientale.

Un campo di rifugiati della guerra del Darfur in Ciad (2005)

L’insoddisfazione per la crisi umanitaria nelle province orientali si aggiunge al crescente malcontento popolare nei confronti della dinastia Déby. Il clan del presidente permea i più disparati settori della vita politica e amministrativa del Paese, generando sporadici vortici di tensione. I disordini di fine febbraio sono adducibili alla natura clanica della piramide politica ciadiana.

L’opinione pubblica è poi influenzata dalle evoluzioni socio-politiche dei vicini Niger, Mali e Burkina Faso. Il sentimento antifrancese caratterizza il dibattito politico a livello locale, toccando preoccupanti zenit di indisponenza.

A giugno del 2023, soldati francesi in ricognizione al confine sudanese sono stati arrestati da un ufficiale ciadiano. Ad aprile dello scorso anno un caso simile ha coinvolto una colonna francese impegnata nella ristrutturazione di un valico di frontiera, accusata di aver fomentato degli scontri intercomunitari.

Gli Stati Uniti via dal Ciad, chi al loro posto?

Un comunicato contro “il trasferimento delle forze francesi espulse dal Niger” e della permanenza di quelle già presenti è stato firmato da intellettuali appartenenti alla diaspora, alla società civile e ai partiti di opposizione minoritari. Loro fonte di ispirazione è stata “la ritirata delle forze imperialiste di fronte alla volontà dei patrioti nigerini, burkinabé e maliani”.

“La nostra sovranità non è mai stata completa a causa della presenza quasi continua dell’esercito francese dopo l’indipendenza”, ha spiegato il politologo Evariste Toldé, tra i firmatari del comunicato. Nell’universo politico ciadiano, l’esercito francese è accusato di porre un freno al rinnovamento politico del Paese. Le truppe statunitensi vengono definite colluse con la forza post-coloniale francese e vicine al presidente Déby.

Alcuni politologi ritengono inevitabile il completo ritiro delle forze occidentali dal Ciad, in continuità con la corrente maggioritaria in seno al Sahel. Un decisivo punto di svolta potrebbe essere rappresentato dalle elezioni del 6 maggio, le prime dall’instaurazione del regime di Mahamat Déby.

Il recente avvicinamento del governo a posizioni filo-russe e anti-colonialiste sono un espediente politico in vista delle prossime consultazioni elettorali, in cui il presidente uscente è candidato. A questo proposito è stata inoltre allargata la maglia del governo, che da poche settimane comprende anche elementi di spicco delle opposizioni, tra cui il primo ministro Succès Masra.

Soldati ciadiani sfilano a Parigi durante la parata annuale del 14 luglio (2013)

Lo stesso “parziale ritiro” statunitense è viziato da una strategia elettorale e di governo mirata al conseguimento di un migliore favore presso l’opinione pubblica. Gli accordi bilaterali che regolano la presenza yankee in Ciad non verranno sospesi, ma solo rivalutati. L’obiettivo, mai nascosto, è la redifinizione del rapporto con Washington alla luce delle nuove sfide regionali.

La formula in fase di contrattazione sarebbe simile a quella adottata dal Gibuti: concessione di basi militari con accordi sullo status delle forze (Sofa) favorevoli e legate maggiormente alle leggi locali. Dunque un sistema che sottolinei la sovranità di N’Djamena e che miri a attutire le influenze esterne.

Ciò comporterebbe un’affievolimento dell’influenza franco-statunitense e potrebbe aprire le porte agli operatori russi o turchi nel prossimo futuro. Il destino del Ciad sarà meglio definibile dopo le elezioni del 6 maggio, le quali dimostreranno se la disaffezione al governo coincida con il malcontento verso le forze straniere.

Una vittoria risicata del presidente uscente potrebbe irrigidire la politica finora accomodante verso i francesi, ma non chiuderebbe le porte ad un nuovo accordo con Washington. La vittoria delle opposizioni mischierebbe le carte in tavola, corrispondendo probabilmente ad una politica più dura verso le forze straniere.

Francia e Stati Uniti d’America devono dimostrarsi abili a non perdere la simpatia dei governanti. In caso contrario, le operazioni antiterrorismo sul lago Ciad e la politica di stabilizzazione della regione subirebbero un ultimo, decisivo arretramento.

Foto in evidenza: http://www.defenseimagery.mil/imageRetrieve.action?guid=6f53556e487c6f69bb272e80e816993f9479d315&t=2; Foto nell’articolo: 1) no CC required; 2) By Mark Knobil from Pittsburgh, usa – Camp, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2173345; 3) By © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28862123

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Giulio Caravaggio

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Pescarese di nascita, mi occupo di analisi geopolitica e militare, con un focus particolare sul continente africano e sullo sviluppo di conflitti. Sono convinto che ognuno di noi debba essere consapevole dei meccanismi politici e storici che muovono il mondo. Per questo contribuisco a comunicare attraverso i mezzi del giornalismo l’importanza dello studio del rischio e della sicurezza internazionale.

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