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Spieghiamo a cosa serve la geopolitica

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Scopri Il ritorno delle guerre

L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

Il super riarmo della Polonia: sfida a Mosca, avvertimento per Berlino
Varsavia vuole un esercito da 300mila uomini. Himars, carri e obici: è la lezione della guerra in Ucraina
riarmo polonia

Venti di riarmo spirano sul Vecchio continente. Dall’inizio del conflitto in Ucraina i paesi europei hanno promesso centinaia di miliardi di euro alle rispettive forze armate. In Germania la Zeitenwende annunciata da Olaf Scholz promette di fare della locomotiva d’Europa anche il terzo esercito del mondo – problemi strutturali permettendo. Per concretezza del programma e zelo dei promotori, è però un altro riarmo che richiederebbe l’attenzione delle prime pagine: quello di Varsavia.

Non sono ancora passati dieci giorni dall’invasione russa quando l’allora primo ministro polacco Jaroslaw Kaczynski annuncia che entro il 2023 le spese per la difesa arriveranno al 3% del Pil. Un balzo di un intero punto percentuale rispetto all’anno corrente 2021. Da Varsavia fanno sapere che gli effettivi delle forze armate saranno portati alla cifra record di 300mila unità. A promessa mantenuta, l’esercito polacco diventerebbe il terzo dell’Alleanza atlantica, il secondo se si considera che la Turchia ha sì un esercito più sostanzioso (355mila militari), ma ancora legato alla leva militare.

Ciò che colpisce della lista della spesa bellica annunciata dai polacchi è la rapidissima assimilazione della lezione ucraina. Carri armati, obici motorizzati e lanciarazzi multipli rappresentano l’ossatura della svolta militare di Varsavia. Terminato il riarmo, la Polonia conta di schierare carri da battaglia nell’ordine di migliaia di unità – si conti che Germania e Italia, che per la difesa spendono diversi miliardi in più, ne mantengono attivi meno di 300. Un passo che spiana la strada ad un’involuzione “alla sovietica” nel pensiero strategico che la guerra in Ucraina sembra destinata imporre a tutti i grandi eserciti di terra.


Il riarmo della Polonia: perchè?

La ragione principe della svolta polacca si chiama, nemmeno a dirlo, Russia. Quello di Vladimir Putin sarà anche un “impero morente”, come lo chiamano i vertici polacchi, che conserva tuttavia le capacità per sfidare armi in pugno l’ordine internazionale a guida americana. L’invasione dell’Ucraina è anzitutto lo stralcio del velo della “deterrenza”, un momento di disincanto che ha instillato un brivido anche in quei paesi protetti dall’articolo V dell’Alleanza atlantica.

E se la buona notizia è che Mosca sta soffrendo più del previsto nella sua avventura ucraina, il non intervento da parte americana evoca in est Europa la paranoia che un domani gli alleati staranno a guardare anche qualora la Russia dovesse rivolgere le sue attenzioni alle altre perle perdute dell’impero sovietico. La Polonia ha sempre ricevuto il supporto e la benedizione delle talassocrazie anglosassoni, ma in passato, di fronte all’invasore, né Londra né Washington furono in grado di aiutare. Nonostante nel vertice di Madrid lo schieramento Nato ad est sia stato potenziato – oggi in Polonia ci sono 11.500 militari sotto il diretto controllo dell’Alleanza – è meglio andare sul sicuro.

Il risultato è che la Polonia, questa volta, deve essere in grado di difendersi anche da sola – oppure accumulare abbastanza potere militare da scoraggiarne l’invasione. In caso di conflitto contro la Federazione gli sforzi iniziali di Mosca punterebbero infatti ad avanzare dalla Bielorussia lungo il corridoio di Suwalki, per congiungere la madrepatria all’enclave di Kaliningrad e tagliare le tre repubbliche baltiche dal resto d’Europa. In poche ore quei 104 chilometri di territorio tra Lituania e Polonia diventerebbero l’inferno e Varsavia vuole arrivare preparata.

A soffiare sulle paure dei polacchi c’è l’ambigua postura dei tedeschi. Il supporto di Berlino all’Ucraina, al netto della retorica, è stato tiepido e ora i gruppi industriali implorano il governo di proseguire le intese energetiche con la Russia – in caso contrario “la pace sociale tedesca è a rischio”, parola di Axel Gedaschko, presidente dell’associazione delle imprese edili tedesche. Per la Germania la dipendenza dal metano russo è una vulnerabilità esiziale, ma per i polacchi è la riprova di un’alleanza carsica tra Mosca e Berlino. Prove generali di un nuovo patto Molotov-Ribbentrop.

I paesi dell’est hanno accettato loro malgrado il gigantismo economico della Germania, entrando di fatto nella sfera geo-economica tedesca. Un passo ineludibile per innescare la rapida crescita economica dopo l’implosione dell’Urss. Nel riarmo tedesco, tuttavia, questi stessi paesi intravedono la possibilità che a Berlino abbiano deciso di trasformare – chissà quando e chissà come – la statura economica in prestanza geopolitica. Legittimi sospetti del presente amplificati fino all’insostenibile dai terribili echi del passato.

Come si riarma la Polonia

Il 18 luglio sono arrivati in Polonia i primi carri armati M1 Abrams acquistati dagli Stati Uniti. Si tratta di una manciata di esemplari di versioni ormai datate che serviranno per l’addestramento dei carristi polacchi. Entro il 2023 infatti Varsavia aspetta la consegna di almeno 250 carri Abrams nella moderna versione M1a2 Sep, a cui se ne aggiungeranno altri 116 provenienti da quelli in servizio presso l’esercito americano – valore dell’accordo 5 miliardi dollari.

Sempre dagli States dovrebbero arrivare almeno 500 sistemi M-142 Himars, i lanciarazzi multipli che stanno dando un’ottima prova – probabilmente esagerata dalla propaganda – nelle mani degli artiglieri ucraini (e a Kiev ne sono stati consegnati meno di 20 esemplari). Il primo lotto – già previsto in una serie di accordi siglati tra 2017 e 2018 – dovrebbe essere consegnato per il 2023. Non è chiaro entro quando sarà possibile acquisire l’enorme numero di lanciarazzi, ma, stando sempre alle intese degli anni passati, sembra confermato che almeno parte della produzione avverrà in Polonia e si tratterà di versioni modificate per accogliere sistemi di puntamento polacchi.

Ma è dalla Corea del sud che dovrebbe arrivare la mano più consistente, almeno a livello numerico. A fine luglio il ministero degli Esteri ha approvato l’ordine di forniture militari più costoso della storia polacca – che secondo i media di Seoul si aggira intorno ai 15 miliardi di dollari. Varsavia si impegna ad acquistare 1000 carri armati K2 Black Panther prodotti da Hyundai Rotem e 679 obici motorizzati K9 da 155mm, costruiti da un consorzio sudcoreano che include, tra gli altri, Samsung Aerospace Industries.

Carro armato K2 Black Panther

Le prime unità saranno made in Corea, ma l’affare prevede anche che dal 2026 sia il semovente che il carro armato, sviluppato in una versione apposita più grande e pesante per le necessità di Varsavia, saranno prodotti in Polonia.

Dati alla mano, la Polonia arriverebbe a schierare circa 1600 carri armati da battaglia, dando per scontato che la flotta di Leopard tedeschi (249) rimanga in attività e mettendo in conto che tutte le unità composte da vecchi Mbt sovietici (circa 600 unità) vengano smantellate o trasferite senza oneri alle forze armate ucraine – come accaduto già per diverse centinaia di T-72.

Oltre a carri e obici il parco veicoli si arricchirà con un nuovo veicolo da combattimento per la fanteria per sostituire i vecchi BWP-1 sovietici. Probabilmente si opterà per il Borsuk, di produzione indigena o per il K-21, anche questo di origine sudcoreana. In totale sono circa 1200 i mezzi antiquati da rimpiazzare.

Anche la componente aerea ha ricevuto importanti attenzioni. Già a fine 2020 Varsavia si è assicurata la fornitura di 32 caccia di quinta generazione F-35, accedendo al ristretto club dei velivoli stealth (ancora da consegnare). Nell’ambito dell’accordo coreano saranno poi inviati altri 50 aerei Fa-50. Si tratta di aerei leggeri che possono essere utilizzati sia per l’addestramento dei piloti che per l’attacco al suolo.

Le consegne saranno velocizzate il più possibile per mandare in pensione (o forse in Ucraina) i Mig sovietici e gli aerei coreani sono stati scelti proprio per l’impossibilità da parte americana di fornire in breve tempo rimpiazzi migliori, a partire dagli F-16. Chiude il quadro del riarmo aereo l’ordine di almeno 24 droni Bayraktar Tb-2 concordato con la Turchia a maggio 2021 – i primi dovrebbero arrivare tra settembre e ottobre.

La lezione ucraina

“La guerra in Ucraina ha dimostrato quanto sia importante l’artiglieria, quindi la Polonia deve diventare una potenza nell’artiglieria”. Così Mariusz Błaszczak, ministro della Difesa polacco, lo scorso 13 giugno. Il conflitto insegna che persino in un ambiente militare tecnologicamente avanzato, contraddistinto da munizioni guidate e vettori a lunga gittata, artiglieria e mezzi corazzati giocano un ruolo fondamentale. Anche per il semplice fatto che nessuna potenza al mondo dispone di abbastanza missili per combattere un conflitto ad alta intensità senza passare per l’artiglieria convenzionale.

Discorso simile vale per i carri armati e veicoli da combattimento in generale. L’introduzione di efficientissime armi anticarro a spalla, come Javelin e Panzerfaust, ha mostrato con quanta facilità le colonne corazzate possano essere distrutte dalla fanteria – effetto forse esagerato dalla tattica scellerata adottata dai russi nelle prime settimane di operazioni. Ma la fragilità dei carri da battaglia non ha ancora portato – né lo farà a breve – allo sviluppo di un’alternativa efficiente per portare in prima linea un potere di fuoco elevato e soprattutto mobile. La lezione non è che i carri armati sono da mettere in soffitta, ma che servono in numero maggiore ora che le capacità anticarro sono più diffuse.

I campi di battaglia dell’Ucraina hanno gettato poi nuova luce sui lanciarazzi multipli. Tanto gli Himars americani quando i russi Tos-1 e Bm-30, hanno dato ottima prova di sé. Con una gittata superiore a quella dell’artiglieria convenzionale, un costo per unità abbastanza contenuto e un potenziale di saturazione di tutto rispetto, è probabile che non solo i polacchi tenteranno di aggiungerne quanti più possibile al proprio parco veicoli – a partire da Taiwan, che aspetta la consegna degli stessi Himars entro il 2024.

Implicazioni strategiche del riarmo della Polonia

I numeri del riarmo della Polonia sono imponenti e avvicinerebbero le forze armate polacche a quelle dei grandi del pianeta, con la possibilità di incoronarle primo esercito d’Europa, di certo quello con più unità corazzate. La corsa alle armi tradisce l’aspirazione strategica più importante di Varsavia: farsi perno irrinunciabile del contenimento della Russia e spostare ad est il baricentro dell’Alleanza atlantica. Progetto che sembra incontrare il favore della superpotenza americana, che sempre meno tende ad affidarsi agli ambigui tedeschi.

La scommessa polacca della Nato è stata sancita al meeting di Madrid con la storica decisione di stabilire qui il quartier generale della quinta armata americana, un impegno che il paese aveva chiesto a gran voce all’ex presidente Usa senza ricevere la luce verde – addirittura titillando lo smisurato ego del tycoon con la proposta di nominarla “Fort Trump”. Ottenuto l’assenso, Kaczynski aveva rilanciato sbandierando la disponibilità polacca ad ospitare le armi atomiche americane, mandando su tutte le furie il Cremlino.

La presenza delle truppe americane è garanzia di sicurezza. Da una parte l’aumento dello schieramento allontana le paure che in caso di invasione russa gli alleati facciano spallucce; dall’altra permette a Varsavia di sfruttare asset come il sistema di difesa antiaereo Aegis Ashore – in teoria il più sofisticato al mondo – che gli Stati Uniti stanno approntando presso la base di Redzikowo.

Per ultimare la metamorfosi a potenza regionale, Varsavia pesca a piene mani dal passato di quella Confederazione polacco-lituana i cui territori si estendevano dal Baltico al mar Nero – pedagogia già propria del nazionalismo polacco tra le due guerre. Così, il riarmo trascende la tattica bellica per presentare alle repubbliche baltiche – un tempo parte del dominio polacco – e all’Ucraina occidentale – dove la cultura polacca ha radici profonde – una Polonia che sia unica speranza contro l’espansionismo del Cremlino.

Proprio alla grandezza militare del passato rimanda l’istituzione di brigate multinazionali come quella intitolata all’etmano Ostrogski, vincitore sui russi nel XVI secolo, operativa dal 2017 in seguito ad un accordo tra Varsavia, Vilnius e Kiev. Di pari passo la Polonia deve procedere a una rapida militarizzazione della collettività se vuole che i cittadini seguano le élite lungo il cammino di rinascita strategica. Un piano portato avanti con solerzia dai conservatori del partito di governo, Diritto e Giustizia, a partire dall’introduzione delle lezioni sull’utilizzo delle armi da fuoco alle superiori (dal 2024) e dalle proposte per la liberalizzazione del possesso di fucili e pistole – la cui legislazione in materia, in Polonia, è particolarmente severa.

A viziare i sogni di una rinnovata centralità sorgono però i dubbi sulla reale disponibilità di risorse di Varsavia. Se è vero che la Polonia ha attraversato la pandemia con meno difficoltà rispetto agli europei occidentali, non bisogna dimenticare che la mole totale della sua economia si attesta intorno ai 650 miliardi di dollari (un terzo rispetto all’Italia). Le prospettive di crescita esistono ancora, ma non potranno restare per sempre quelle degli ultimi anni (+3,7% annuale di media dal 2000), complice anche una demografia che non si è mai ripresa dal periodo post sovietico (oggi 1,4 figli per donna).

Le commesse per l’industria della difesa annunciate dai decisori polacchi sono nell’ordine delle decine di miliardi di dollari e secondo le parole Błaszczak porteranno gradualmente le spese militari fino al 5% del Pil. Per finanziarsi la Polonia intende emettere dei particolari bond per tramite della banca per lo sviluppo controllata dallo Stato, la Bgk, ma non è detto che basterà.


L’inflazione colpisce duro il settore della difesa, fortemente dipendente da microchip, terre rare e materie prime: nel caso di alcuni metalli, come alluminio e titanio, l’aumento dei prezzi sfiora il 50% su base annuale e l’aumento del costo dell’energia rischia di far esplodere i costi di produzione di tutto il resto – specie in un paese che non può più accedere a gas e metano russo (chissà per quanto). Insomma, non è da escludere che quelle decine di miliardi rischino di diventare centinaia. Parecchi di più di quelli che Varsavia può permettersi.

Foto n.1: By 권순삼, 국방시민연대 (Defense Citizen Network) – https://dcn.or.kr/?_filter=search&mid=d5&search_target=content&search_keyword=XK-2&document_srl=1020, CC BY-SA 2.0 kr, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11328239

Foto n.2: By Juliusz Sabak – www.defence24.pl, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=78623518Foto n.2:

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Francesco Dalmazio Casini

Francesco Dalmazio Casini

Fondatore di Aliseo, archeologo redento, appassionato di studi strategici. Voglio raccontare la geopolitica, cercando di leggere tra le righe gli interessi di attori espliciti e meno espliciti. Credo che all'informazione italiana manchino due cose: il realismo e la capacità di prendersi un po' di tempo prima di raccontare quello che succede.

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