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La geopolitica dei metalli rari e la dipendenza dell’Europa
Come la dipendenza dai metalli rari e dalle terre rare cinesi mette in luce le contraddizioni della transizione energetica

Pensare a un pannello fotovoltaico o a un’auto elettrica non è difficile. Pensare ai materiali che servono potrebbe iniziare a essere complicato, ma poi ci si ricorderebbe del litio e del silicio. A questo punto però sarebbe interessante osservare anche due aspetti importanti che riguardano i materiali che servono per la costruzione di dispositivi elettronici, auto elettriche, pannelli fotovoltaici e così via, ovvero dove si trovano e quale sia il loro tasso di riciclabilità.

Alla luce di questo, come direbbe il geopolitologo Guillaume Pitron, risulta evidente come sia difficile “pensare alla transizione energetica fuori dal sottosuolo”. Le cose che l’essere umano produce da ciò che estrae dalla terra sono, ricordando le parole di Richard Hammond, Jeremy Clarkson e James May, impressionanti: “paracadute, spazzolini, pastelli, creme per il viso, valvole cardiache, salvagenti, ombrelli, dentiere, anestetici, arti prostetici, shampoo, smartphone, disinfettanti, rossetti, repellenti per insetti, lavastoviglie, lenti a contatto, riscaldamento, petrolio” e così via.

Capire la natura dei materiali con i quali sono fatte tutte queste cose è fondamentale per analizzare tutti i retroscena geopolitici intuendo per quale motivo la Cina rappresenti un interlocutore imprescindibile per quanto riguarda l’estrazione e la vendita di metalli.

La tassonomia dei metalli rari e la loro riciclabilità

Le auto elettriche e ibride possono contenere da 9 a 11 kg di terre rare (The Globe and Mail, 2011), ovvero circa il doppio rispetto alle automobili a combustione interna. Per terre rare si intende quel gruppo di 15 elementi, a cui vengono convenzionalmente aggiunti anche scandio e ittrio, appartenenti al gruppo dei lantanoidi, mentre per metalli rari si intende quel gruppo di oltre 50 elementi spesso denominati come “metalli strategici”. In particolare i materiali in questione sono: cerio (display, batterie ibride ecc.), lantanio (batterie), neodimio, praseodimio, disprosio e terbio (fari e motore elettrico o ibrido), ittrio ed europio (display Acl).

Per quanto riguarda gli smartphone e in particolare gli iPhone (Damien Hypolite, Science et Avenir), abbiamo i seguenti materiali impiegati nella realizzazione della batteria, schermo, componente elettronica e rivestimento:

  • Batteria: litio, cobalto, carbonio, alluminio.
  • Schermo: indio, stagno, alluminio, silicio, potassio, ittrio, lantanio, terbio, praseodimio, europio, disprosio, gadolinio.
  • Elettronica: rame, argento, oro, tantalo, nichel, disprosio, gadolinio, silicio, antimonio, arsenico, fosforo, praseodimio, terbio, neodimio, gallio, stagno, piombo.
  • Rivestimento: carbonio, magnesio, bromo, nichel.

I relativi tassi di riciclabilità sono riportati nella seguente tavola periodica degli elementi.

Quello che emerge da una prima disamina delle tabelle è come sia metalli rari che le terre rare siano impiegate in molti settori, risultando essenziali anche nella realizzazione di buona parte dei dispositivi di uso quotidiano, e come la maggior parte di questi materiali utilizzati nella costruzione di componentistiche elettroniche abbia un tasso di riciclabilità inferiore all’1% e ciò ha delle conseguenze prevedibili non affatto banali.

Metalli rari e dove trovarli

Un ulteriore aspetto tutt’altro che trascurabile è quello relativo all’ubicazione dei giacimenti di questi materiali e i principali produttori mondiali. Nello specifico, per esempio, la Russia produce il 46% del palladio mondiale, mentre la Cina (dati della Commissione Europea 2017) produce: antimonio (87%), barite (44%), bismuto (82%), fluorite (64%), fosforite (44%), fosforo (58%), gallio (73%), germanio (67%), grafite naturale (69%), indio (57%), magnesio (87%), scandio (66%), silicio metallico (61%), terre rare leggere (95%), terre rare pesanti (95%), tungsteno (84%), vanadio (53%).

Risulta dunque evidente come la produzione di dispositivi elettronici, pannelli fotovoltaici ecc., abbia un costo sia in termini di impatto ambientale, visti i tassi di riciclabilità, che in termini di emissioni di CO2. Nell’ultimo Sustainability Monitor di Roskill si stima un aumento di emissioni di circa sei volte considerando solo l’estrazione del litio arrivando a circa 13,5 milioni di tonnellate di Co2 l’anno per quanto riguarda i vari processi che compongono il ciclo di vita dei metalli (dall’estrazione alla trasformazione dei minerali passando per il trattamento degli stessi).

Anche da un punto di vista normativo vi è un “costo” dal momento che, a causa di quella che in letteratura politologica viene detta resource curse (maledizione delle risorse), nella maggior parte dei casi i più grandi produttori di questi minerali sono paesi autoritari, con miniere riguardo le quali sarebbe opportuno discutere di norme di sicurezza e rispetto dei diritti umani. In tal senso troviamo diversi casi: Bolivia (litio), Repubblica Democratica del Congo (cobalto), Cina, Ruanda (tantalo) Russia, e così via.

Il costo delle transizione energetica

La Cina possiede una chiara minaccia credibile di uscita (game theory) dal momento che si tratta del principale produttore ed esportatore di metalli rari e quindi un’improvvisa chiusura porterebbe a una crisi mondiale del settore (come accaduto, in parte, nel 2010). Alla luce di questo aspetto è lecito chiedersi anche se nel lungo periodo possa essere strategicamente vantaggioso continuare a rimanere “ostaggi” del Dragone. In un ipotetico futuro in cui vengono prodotte solo auto elettriche e pannelli fotovoltaici bisognerebbe decidere se stringere un numero maggiore di accordi commerciali con Pechino oppure iniziare il percorso per emanciparsene.

Un processo che gli Usa sembrano aver già avviato, con una serie di misure che intendono riportare a regime la produzione nazionale e aumentare le importazioni dall’Australia. Si tratta ovviamente di una strategia costosa, che nell’ottica americana potrebbe servire a mettere in crisi l’ex Impero celeste: la stessa Cina si potrebbe trovare “ostaggio” delle proprie esportazioni dal momento che il PiL pro capite non è abbastanza elevato da poter assorbire un’eventuale crisi di surplus

Se, per esempio, si dovesse ricorrere alla realizzazione di un programma nucleare, che richiede un ingente impiego di afnio (la Francia produce il 46% dell’afnio mondiale), la Cina vedrebbe ridursi drasticamente il mercato delle esportazioni dei metalli rari impiegati nella produzione di pannelli fotovoltaici (silicio e germanio). Del resto a parità di energia prodotta (un Megawattora) il nucleare occupa anche meno spazio rispetto al fotovoltaico (0,3 m2 occupati dal nucleare contro i 3 m2 del fotovoltaico).

La transizione energetica porta a trade off tra la riduzione di Co2 e un aumento dell’inquinamento da smaltimento di metalli rari, i cui tassi riciclabilità nella maggior parte dei casi sono inferiori all’1%. Un ulteriore aspetto rilevante riguarda la necessità nel breve-medio periodo di aiutare economicamente tutti quei paesi, spesso e volentieri dittature o quasi, che estraggono e producono i principali metalli rari che trovano uno spazio fondamentale nel processo di decarbonizzazione. Tutto questo ha però un costo sia in termini di emissioni per quanto riguarda l’estrazione e il trattamento di questi metalli che in termini di vite e di tutela dei diritti umani nelle miniere in attesa del processo di automatizzazione.

La posizione dell’Ue

L’Unione europea presenta tassi di dipendenza dalle esportazioni superiori al 50% per quanto riguarda: antimonio (100% da Cina e Vietnam), bismuto (100% dalla Cina), borato (100% dalla Turchia), fosforite (88% principalmente da Marocco, Russia, Siria e Algeria), grafite naturale (99% da Cina, Brasile e Norvegia), magnesio (100% dalla Cina), platinoidi (99,6% da Svizzera, Sudafrica, Usa e Russia), niobio (100% da Russia e Kazakistan), tantalio (100% da Nigeria, Ruanda e Cina), terre rare leggere (100% da Cina, Usa e Russia), terre rare pesanti (100% da Cina, Usa e Russia); e la lista potrebbe proseguire

l’Ue si trova in una posizione non ideale e nonostante il regolamento sui minerali provenienti da zone di conflitto (volto all’istituzione di un sistema dell’Unione sul dovere di diligenza per quanto riguarda la catena di approvvigionamento, al fine di ridurre le possibilità per i gruppi armati e le forze di sicurezza di praticare il commercio di tantalio, stagno, tungsteno e oro) è comunque “costretta” a stringere accordi con paesi come Russia e Cina che almeno nel breve-medio periodo rappresentano degli interlocutori imprescindibili.

Questo tema, anche a causa della pandemia globale e della crisi russo-ucraina, non è ancora in cima alle priorità di Bruxelles ma gli ultimi tentativi di emancipazione dal gas russo potrebbero sfociare prima o poi in una discussione anche sull’approvvigionamento di metalli e terre rare all’interno del più ampio dibattito riguardante la transizione energetica.


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