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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

I perchè dell’immobilismo del sistema politico italiano
Come il nostro sistema parlamentare e multipartitico riduce la probabilità di assistere a cambiamenti significativi dello status quo
sistema politico italiano

È buona usanza dei partiti politici alla fine di ogni legislatura, forzata o meno, ripresentarsi in campagna elettorale per proporre cambiamenti dello status quo che, per un motivo o per un altro, non sono riusciti a concretizzare nell’arco della legislatura precedente sia nelle vesti di opposizione che nelle vesti di membri della coalizione di governo.

Ciò che fa specie in tal senso è che le proposte vengono fatte parlando in termini maggioritari nonostante si sappia bene che il sistema politico italiano, caratterizzato dal multipartitismo e da una mentalità proporzionale, che spesso e volentieri si rispecchia nella legge elettorale (proporzionale “pura” o mista che sia), non permette di poter realizzare il proprio programma.

Un deficit di accountability

Questo comportamento dei partiti produce due meccanismi molto importanti soprattutto nei paesi democratici dove le elezioni hanno un peso reale nel cambiamento della classe politica e del governo. Il primo è quello che in gergo politologico viene chiamato “blame shifting”, ovvero quel meccanismo per il quale, soprattutto in presenza di governi di coalizione, si tende a fare “scarica barile” quando si tratta di dover rispondere di errori o di mancate realizzazioni. Avremo dunque che il ministro tal dei tali si giustificherà della mancata messa in atto della proposta tal dei tali accusando i ministri appartenenti agli altri partiti di coalizione.

Il risvolto della medaglia è invece il meccanismo di “credit claiming” per il quale ogni partito (o singolo esponente) cercherà di concentrare su sé stesso il merito di una determinata proposta di policy messa in atto dal governo. Questi due meccanismi però non giovano all’elettore che verrà poi chiamato a giudicare la performance del governo alle prossime elezioni e quindi avremo una diminuzione dell’accountability (ovvero la capacità che ha l’elettore di giudicare l’operato del governo e quindi “premiare” o “punire” i partiti del governo uscente).

Osserviamo però che alle elezioni successive si continuerà ad affrontare la campagna elettorale come nulla fosse e ogni partito (o coalizione) si presenterà all’elettorato come se dovesse governare da solo e come se avesse la maggioranza in parlamento. Ovviamente la realtà riporta, durante il periodo di contrattazione, con i piedi per terra le forze politiche che poi dovranno “mettersi d’accordo” per formare una maggioranza in grado di esprimere un governo che possa o meno portare a un cambiamento importante dello status quo.

La Teoria dei Veto Players nel sistema politico italiano

In politologia esiste una teoria che è in grado di prevedere la probabilità di assistere a un cambiamento rilevante dello status quo, parliamo della Veto Players Theory. In un sistema politico gli attori con potere di veto sono quelli in grado di influenzare la capacità di modificare lo status quo. Questi attori sono i partiti politici, sindacati, lobbisti (non nell’accezione complottistica del termine), gruppi industriali, eventuali corti costituzionali, associazioni criminali, altri stati (per esempio gli USA nel caso in cui l’Italia decidesse di stringere accordi militari con la Cina) ecc. Noi però, per semplicità, considereremo solo i partiti politici e coalizioni più rilevanti (Centrosinistra, Centrodestra e M5S anche se da un punto di vista programmatico rientra ampiamente, come vedremo, nel centrosinistra).

È possibile collocare in un piano cartesiano i partiti politici dal momento che ogni partito può essere considerato un punto con delle coordinate che corrispondono alla sua posizione in una determinata tematica politica. Nell’esempio che presentiamo avremo l’asse x del piano (con valori che vanno da 0 a 10) che rappresenta la contrapposizione tra Stato e mercato nell’economia e l’asse y che rappresenta la contrapposizione no nucleare e pro nucleare nel processo di transizione energetica. Quello che otteniamo, fissando lo status quo al centro per una questione di comodità, è il seguente risultato.

Partiti e curve di indifferenza

Abbiamo quindi al centro lo status quo e nelle loro posizioni i partiti. Ogni partito cercherà chiaramente di avvicinare il più possibile lo status quo verso quella che è la propria posizione iniziale. Unendo il partito allo status quo è possibile tracciare una circonferenza che rappresenta tutti quei punti per i quali, essendo equidistanti dalla posizione ideale del partito, i singoli partiti sono indifferenti tra lo status quo e uno qualsiasi di quei punti, ovvero una curva di indifferenza. L’area del cerchio rappresenta invece tutti quei punti che, essendo più vicini alla posizione ideale del partito, vengono preferiti allo status quo. Quello che otteniamo è rappresentato in questo modo.

In questo caso abbiamo tracciato la curva di indifferenza del Centrodestra che cercherà quindi di spostare lo status quo all’interno del proprio cerchio. Questo però si verificherebbe solo se il centrodestra si trovasse a governare da solo e non fosse sconvolto da crisi intestine, avendo quindi carta bianca su quanto spostare lo status quo verso la propria posizione ideale. Quello che però spesso avviene è che il governo viene composto da più partiti e bisogna anche tenere contro che all’interno del centrodestra sono presenti più partiti che hanno a loro volta punti ideali differenti.

Adesso, per semplicità, andiamo a vedere cosa accadrebbe se il centodestra non avesse vinto le elezioni, ovvero nel caso in cui dovesse formarsi un governo composto dal Centrodestra e dal M5S, avendo quindi da un lato la curva di indifferenza del centrodestra e dell’altro la curva del M5S.

In questo caso, sapendo che sia M5S che Centrodestra proveranno ad avvicinare lo Status Quo verso di sé, risulta evidente come i due partiti abbiano curve di indifferenza ben diverse.

Governo di coalizione

I partiti della coalizione di governo dovranno rinunciare a tutta l’area del proprio cerchio eccezion fatta per la porzione creata dall’intersezione delle due circonferenze. Questa porzione viene detta “insieme vincente” e rappresenta tutte quelle posizioni che trovano i partiti coinvolti d’accordo. Nel nostro esempio però questo insieme è piuttosto ridotto ma, ingrandendo otteniamo il seguente insieme vincente.

Questa area verde rappresenta quindi quella regione di spazio all’interno della quale entrambi i partiti sono disposti a spostare lo status quo. Quello che però risulta evidente è come, essendo così ridotta quest’area, la probabilità che lo status quo possa spostarsi in maniera rilevante sia fondamentalmente tendente allo zero. Infatti le dimensioni dell’insieme vincente sono influenzate da due fattori che sono da un lato la distanza “ideologica” tra i partiti (maggiore è la distanza, minore sarà l’insieme vincente) e dall’altro il numero di partiti rilevanti (un aumento del numero di partiti può lasciare invariato o diminuire l’insieme vincente).

Ricordiamoci anche come nel nostro esempio abbiamo considerato solo i partiti, avessimo considerato anche Corte Costituzionale (che, come ha sempre dimostrato, presenta delle posizioni sulle tematiche politiche), i sindacati e tutti gli altri attori a qualche titolo rilevanti., l’insieme vincente sarebbe diminuito ulteriormente.

Prospettive

In conclusione, il sistema politico italiano fa sì che la probabilità di assistere a un cambiamento importante dello status quo sia bassissima a prescindere dalla composizione partitica del governo. Ragion per cui, pessimisticamente, sarà difficile assistere a svolte in tema di, per esempio, energia nucleare, diritti civili, parità di genere, riduzione del cuneo fiscale e della tassazione, riduzione della burocrazia, modifiche importanti della legge elettorale (abbiamo visto in passato cosa pensa la Corte Costituzionale a riguardo), magistratura e altro ancora.

Visti inoltre i risultati effettivi delle ultime elezioni che hanno visto la coalizione di centrodestra vincere e formare un esecutivo, andrebbero considerate tutte le variabili precedentemente esposte ovvero il fatto che i singoli partiti della coalizione presentano posizioni ideali differenti su diverse tematiche, il ruolo della Corte Costituzionale, i sindacati, i gruppi industriali, l’Unione Europea e così via. La presenza di questi attori, che tende secondo la Teoria dei Veto Players a far diminuire l’insieme vincente, suffraga in maniera importante la tesi pessimistica secondo la quale sarà difficile assistere a cambiamenti significativi in tutte quelle policy elencate in precedenza.

Le soluzioni, sulla carta, non mancano e spaziano dal presidenzialismo, al federalismo, ad una legge elettorale maggioritaria uninominale a turno unico con voto alternativo (sistema adottato in Australia) che porterebbe alla diminuzione del numero di partiti e verso un sistema bipartitico in stile anglo-sassone con valori più elevati di accountability, maggiore stabilità e una probabilità maggiore di assistere a cambiamenti significativi dello status quo.

Foto in evidenza: “L’Europa a Roma – Celebrazioni del Parlamento italiano” by Montecitorio is licensed under CC BY-ND 2.0.

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Mario Spoto

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